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Sommario


Editoriale
Paolo Fois
Allargamento e insularità
Romano Prodi
Una possibilità concreta di riunificare l'Europa

Il lungo cammino dell’Allargamento
Umberto Triulzi
Nuova Europa e politica mediterranea
Paolo De Castro
Agricoltura: un ruolo decisivo nel processo di allargamento
Alessandro Profumo
Lo spazio delle banche nella nuova Europa

Per il commercio una boccata di ossigeno

Una nuova legge per il commercio

Indice per argomento 1985-2002 del bimestrale di informazione economica "Sardegna industriale"

 

Nuova Europa e politica mediterranea
Umberto Triulzi

 

Una caratteristica immagine del territorio maghrebino
Una caratteristica immagine del territorio maghrebino
Alla fine del 2002, i paesi candidati dell’Europa centro-orientale che avranno adempiuto agli standard richiesti per l’adesione entreranno probabilmente a far parte dell’Unione e potranno votare già nelle elezioni europee del 2004. L’ingresso nell’Unione europea rappresenta per questi paesi un traguardo importante per il consolidamento delle loro fragili democrazie e per il proseguimento dei processi economici avviati nell’ultimo decennio ma non ancora portati a compimento e quindi non ancora in grado di produrre e diffondere gli effetti positivi derivanti dall’apertura dei rispettivi mercati. Allo stesso tempo, questo allargamento rappresenta la principale sfida dell’Unione europea nei prossimi anni, trattandosi di paesi diversi per storia, cultura, tradizioni, modelli di sviluppo e di organizzazione della società rispetto a quelli già entrati. Una sfida, tuttavia, dagli esiti finali molto incerti e con conseguenze che possono minare seriamente sia il processo di integrazione europeo sin qui percorso sia l’insieme delle relazioni e degli accordi economico-commerciali che l’Unione europea intrattiene con molti Paesi terzi.

 L’Ue e i Paesi terzi del Mediterraneo

 Le preoccupazioni per il prossimo allargamento dell’Ue non riguardano, infatti, solo i paesi candidati e l’Unione stessa, ma anche altri paesi che da sempre hanno avuto relazioni privilegiate con la Comunità europea. I Paesi terzi del Mediterraneo (Ptm), in particolare, guardano al nuovo allargamento con molti timori.

La crescita del numero dei paesi aderenti ha modificato gli equilibri geopolitici della Comunità. A partire dagli anni Novanta, infatti, con l’adesione di Svezia, Austria e Finlandia, il baricentro dell’Ue, già fortemente influenzato dagli interessi dei paesi dell’Europa centro-orientale, si è ulteriormente spostato verso tale direzione. Con il nuovo allargamento lo spostamento diventerà sempre più evidente.

Un secondo timore, già pienamente confermato da quanto avvenuto nell’ultimo quinquennio, è che l’ingresso dei nuovi candidati determinerà una riduzione delle risorse comunitarie rivolte ai paesi dell’area mediterranea. E questo nonostante la Comunità europea abbia avviato, con la Dichiarazione di Barcellona del 1995, un partenariato euromediterraneo, salutato da tutti come una svolta storica nelle relazioni fra l’Unione europea e i 12 Paesi mediterranei. Una svolta, purtroppo, incompiuta sotto molti punti di vista. Il programma Meda I, ad esempio, che è lo strumento finanziario di tale partenariato, non ha conseguito gli obiettivi sperati. Sulla base dei suoi insuccessi sono state apportate modifiche significative al nuovo programma, il Meda II, e ne è stata accresciuta la dotazione finanziaria. Resta comunque importante, così come sottolineato dalla Conferenza ministeriale di Marsiglia, rafforzare il collegamento tra il programma Meda e l’implementazione delle riforme iniziate dai partner mediterranei in seguito agli accordi di associazione firmati con l’Unione europea.

Esistono molteplici ragioni che giustificano l’interesse dell’Europa comunitaria nei confronti di una maggiore integrazione con i Paesi terzi mediterranei. In primo luogo, il tentativo di pervenire ad una migliore allocazione delle risorse anche grazie ad un più efficiente utilizzo delle risorse naturali presenti nel bacino del Mediterraneo e che rimangono elementi indispensabili per la crescita economica dell’intero continente europeo. In secondo luogo, la possibilità di realizzare un’area di prosperità economica e di benessere diffuso, attraverso un’effettiva e più completa partecipazione della manodopera dei paesi della sponda sud del Mediterraneo. In terzo luogo, la necessità di garantire una maggiore stabilità politica ed istituzionale nell’area anche attraverso il rafforzamento del ruolo di questi paesi nel contesto d’integrazione internazionale.

Tuttavia, l’analisi dell’interscambio commerciale fra l’Ue ed i Ptm evidenzia chiaramente l’esistenza di una profonda asimmetria commerciale fra le due aree geografiche. L’Ue rimane, infatti, il principale partner commerciale della regione mediterranea, mentre i paesi del bacino mediterraneo partecipano solo per una quota molto limitata ai flussi commerciali internazionali dell’Ue. L’analisi settoriale dell’interscambio Ue-Ptm dimostra, inoltre, che oltre il 60% dei prodotti d’esportazione dei paesi della sponda sud del Mediterraneo sono risorse naturali (principalmente petrolio), beni agricoli e beni manufatti tradizionali (in particolare tessile ed abbigliamento). I dati della bilancia commerciale dell’Ue evidenziano, in particolare, che i pesanti deficit registrati nei prodotti energetici sono stati sempre più che compensati dai surplus registrati nel settore dei beni manufatti.

Il commissario europeo per lo Sviluppo Poul Nielson
Il commissario europeo per lo
Sviluppo Poul Nielson
Esiste, in pratica, tra l’Ue ed i Ptm un profondo squilibrio di natura commerciale, espressione della marcata diversità delle strutture economiche delle due aree geografiche. Di conseguenza, non è pensabile che tali economie, seppur spinte dagli eventi e dalla prossimità geografica e culturale, possano realizzare forme più stringenti di partenariato con l’Europa, senza da una parte la realizzazione di un maggiore coordinamento politico ed economico all’interno dell’area, e dall’altra l’avvio di politiche in grado di rafforzare i mercati nazionali e di favorire lo sviluppo di forme più avanzate di integrazione regionale.

Se le determinanti di fondo delle relazioni Ue-Ptm non subiranno trasformazioni profonde nel breve-medio periodo, appare legittimata la posizione di coloro che sostengono che la creazione dell’area di libero scambio entro il 2010 potrà creare più costi che benefici, soprattutto per le economie più deboli della sponda sud. La crescita economica di questi paesi deve essere accelerata se si vuole ridurre il divario tra Europa e Mediterraneo, se si vogliono creare le condizioni per arrivare pronti all’appuntamento del 2010. L’Unione europea, la cui priorità sembra attualmente essere l’Est, con l’obiettivo dell’allargamento e tutto ciò che esso implica compreso lo spostamento di un numero consistente di risorse verso i paesi candidati, ha il compito di evitare che il Mediterraneo torni ad essere dimenticato e far sì invece che si costituisca un’area di libero scambio che garantisca pace e prosperità.

 Il ruolo dell’Italia

 All’interno di tale contesto, nel quale appaiono più ombre che luci per il futuro delle relazioni tra l’Ue ed i Ptm, l’Italia può svolgere un ruolo importante non solo per la sua posizione geografica, ma soprattutto per ragioni storiche e culturali che la legano da sempre a quest’area. L’Italia intrattiene infatti buone relazioni politiche ed economiche con la gran parte dei Ptm, sviluppa crescenti scambi commerciali con l’area ed in particolare con alcuni di questi paesi (Tunisia, Marocco, Egitto, Turchia ecc.), partecipa attivamente, in forma bilaterale ed attraverso iniziative multilaterali, al finanziamento di progetti di sviluppo settoriali e di cooperazione decentrata, assorbe sul suo territorio quote crescenti di lavoratori immigrati provenienti dall’area.

In particolare sono tre i settori sui quali l’Italia si deve muovere con maggiore incisività se vuole svolgere, da protagonista, un ruolo propulsivo e propositivo nei confronti del Mediterraneo, ma soprattutto un ruolo di “cerniera” tra una Unione europea, o almeno una parte importante dell’Ue, sempre più interessata a quanto avviene nel Nord-Est dell’Europa e gli interessi di un’area che rimane comunque strategica per tutto il continente europeo ed in special modo per l’Italia e le sue imprese.

Il primo settore è la creazione di partenariati durevoli con i governi e le istituzioni locali per lo sviluppo delle imprese, specie quelle di minore dimensione. È necessario che si creino nel bacino Sud del Mediterraneo le condizioni per la promozione e la diffusione di nuove iniziative produttive avendo come riferimento non solo la positiva esperienza italiana nel settore delle Pmi ma l’intero sistema europeo delle piccole imprese. La logica che deve muovere questi accordi in un’ottica di partenariato euromediterraneo è la dimensione finanziaria e la qualità degli interventi che si intendono realizzare.

Considerata la diffusa presenza di microimprese all’interno del tessuto socioeconomico di questi paesi, ma anche lo scarso apporto da queste imprese fornito alla formazione del Pil, appare quanto mai necessario sviluppare iniziative finalizzate ad accrescerne la produttività e la dimensione attraverso la realizzazione di percorsi di ristrutturazione ed ammodernamento dei sistemi produttivi locali e di riqualificazione dei lavoratori della sponda Sud. Per iniziative di questo tipo, che interessano più paesi dell’area e più settori produttivi, non è sufficiente pensare alle tipologie progettuali proposte dai programmi comunitari (Meda II). Occorre infatti dare vita a programmi pluriennali di grande respiro finanziario (con risorse che provengono dall’Ue ma anche con risorse dei paesi membri), che coinvolgono migliaia di piccole e piccolissime imprese in piani di sviluppo settoriali coordinati e cogestiti congiuntamente dalla Commissione, dagli Stati membri e dai paesi mediterranei che intendono parteciparvi. L’Italia può essere un attore importante di questa strategia europea perché ha l’esperienza necessaria e perché di fatto già svolge, in molti paesi della sponda sud del Mediterraneo, un ruolo di assistenza e di formazione rilevante nello sviluppo delle piccole imprese locali.

Il metanodotto Algeria-Italia
Il metanodotto Algeria-Italia
Un secondo settore, strettamente collegato al primo, è quello della formazione. Programmi di riqualificazione produttiva richiedono, per esser efficaci, forti investimenti in capitale umano. Si tratta allora di realizzare percorsi formativi finalizzati a migliorare la qualificazione professionale di un numero altrettanto elevato di lavoratori e dunque di creare le premesse per una reale crescita della capacità imprenditoriale dell’area. Progetti di formazione così ampi, nei quali siano inoltre presenti sia la tradizionale componente d’aula che quella applicativa consistente nella realizzazione di stages presso le aziende europee, richiedono l’intervento coordinato di più strutture formative dei paesi membri e programmi di formazione mirati decisi congiuntamente con i partner mediterranei sulla base dei fabbisogni formativi espressi dai sistemi produttivi locali. Anche in questo caso lo sforzo organizzativo, oltre che finanziario, è rilevante perché occorre programmare interventi congiunti e far dialogare istituzioni e strutture europee di formazione professionale molto diverse sotto il profilo dei sistemi e delle metodologie formative applicate, scarsamente abituate al dialogo e alla cooperazione, molto settorializzate nelle competenze.

Il terzo settore, altrettanto importante ai fini del successo delle iniziative proposte, è la costituzione di network istituzionali di collegamento fra le associazioni delle imprese artigianali e delle Pmi delle due sponde. La possibilità di proporre ambiziosi progetti di ammodernamento e sviluppo delle microimprese deve nascere, infatti, dall’esistenza di un interesse oggettivo da parte di quelle Pmi europee che intendono avviare nuove relazioni commerciali con le imprese mediterranee, rendersi disponibili agli stages formativi in azienda, a trasferire il proprio know-how, ad effettuare operazioni di joint venture con imprenditori locali, ad effettuare investimenti diretti nei paesi del Mediterraneo. In questo ambito le associazioni europee delle piccole e medie imprese e delle imprese artigianali possono svolgere un importante ruolo di verifica dell’interesse esistente presso i propri associati e al tempo stesso attivare i collegamenti necessari con le associazioni omologhe esistenti nei paesi mediterranei. Anche in questo settore, quello dell’associazionismo di imprese e professioni, l’Italia si trova ai primi posti in Europa per numero di iscritti ed imprese rappresentate. Appare logico allora suggerire alle grandi associazioni di imprese artigianali e delle Pmi italiane in generale l’opportunità di promuovere, in partenariato con analoghe strutture europee e con le istituzioni locali, iniziative che abbiano come temi di riferimento principalmente, ma non esclusivamente, la valorizzazione delle risorse economiche locali (produttive, culturali, ambientali, artistiche ecc.), la realizzazione di progetti che favoriscano una più forte integrazione intra-area, lo sviluppo di iniziative congiunte nel settore dell’immigrazione.

Il rilancio della politica mediterranea dell’Ue, in conclusione, può essere assicurato dall’assunzione di un ruolo più incisivo, una forma di cooperazione rafforzata geografica, da parte di alcuni paesi membri, particolarmente attivi ed interessati allo sviluppo dei paesi del sud del Mediterraneo. L’Italia può svolgere con successo un ruolo del genere.