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Il presidente del Parlamento europeo Pat Cox | Il Parlamento europeo auspica che i primi tra i “nuovi” possano entrare a fare parte dell’Unione europea in tempo per le prossime elezioni europee nel 2004 e la Commissione nel suo documento di strategia conclude che nel 2002 si potranno chiudere i negoziati con i paesi candidati che soddisfino tutti i criteri di adesione. In circa due anni, quindi, la “rivoluzione morbida”, iniziata nel 1989, che ha modificato l’assetto geopolitico del vecchio continente, verrebbe a compiere un altro passo senza precedenti: diversi paesi, di cui la maggior parte era situata oltre l’ex cortina di ferro, sarebbero definitivamente membri dell’Unione europea. A “regime”, quando tutti i negoziati di adesione arrivassero a buon fine, l’Unione europea non conterebbe più 15 ma 28 Stati membri, un colosso nella storia di un continente tradizionalmente diviso, un colosso anche dal punto di vista istituzionale. L’allargamento, inoltre, è il motore che ha spinto e sta spingendo l’Europa alla riforma delle istituzioni comunitarie, originariamente create per sei paesi. È evidente che con tanti nuovi ingressi non ci si può più permettere lussi come l’unanimità nel prendere le decisioni o un numero sempre crescente di lingue ufficiali.
I candidati a far parte dell’Unione sono tredici paesi: sei nell’Europa centrale (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Romania), i tre paesi baltici (Estonia, Lituania e Lettonia), un paese appartenente alla ex Jugoslavia, la Slovenia, e tre paesi mediterranei, Cipro, Malta e la Turchia. Il peso dei “nuovi” è già stato calcolato: i tredici avrebbero più di un quarto dei rappresentanti al Parlamento europeo con 197 eurodeputati su 732 (di cui 109 per i primi sei paesi candidati) e quasi un terzo dei voti in sede di Consiglio europeo con 108 voti su 345 (di cui 63 per i primi sei paesi candidati). Inoltre le deliberazioni dei Consiglio verranno prese con una maggioranza di 258 voti. Calcolatrice alla mano, gli attuali paesi dell’Unione, che insieme avranno 237 voti, avranno bisogno dell’appoggio di alcuni dei “nuovi” per approvare le deliberazioni, proposte dalla Commissione e votate in sede di Consiglio. Nel futuro Consiglio i quattro “grandi” fra i paesi dell’Unione (Germania, Regno Unito, Francia e Italia), avranno 29 voti ciascuno, seguiti da Spagna e Polonia con 27 voti a testa.
La Commissione segue con attenzione il processo di allargamento, ospite fisso dell’agenda dei Consigli europei degli ultimi otto anni. In particolare sono tre i fronti su cui agisce:
– i negoziati di adesione con ogni singolo paese ed il monitoraggio individuale del “tracciato” che segna il recepimento dell’acquis comunitario da parte dei paesi candidati;
– i programmi di sostegno all’adesione Phare, Sapard, Ispa e Taiex, che portano un sostegno economico ai paesi candidati per l’adeguamento ai requisiti comunitari;
– i progetti di informazione e comunicazione sull’allargamento nei paesi candidati e nei paesi membri dell’Unione.
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La cerimonia della firma del trattato di Nizza | Da Copenaghen a Nizza, passando per Essen, Madrid, Firenze, Amsterdam, Berlino e Helsinki, il cammino dell’allargamento è fatto di numerosi vertici europei e di almeno tre testi fondamentali dell’Unione: il Libro Bianco sul mercato interno, Agenda 2000 e il Trattato di Nizza. La legittimità delle richieste di adesione dei Peco (Paesi dell’Europa Centrale e Orientale) viene sancita al vertice di Copenaghen nel 1993, mentre l’Europa orientale è ancora nella fase calda di adattamento alla caduta dei regimi socialisti. È questo il momento in cui si definiscono i criteri per l’adesione che riguardano, non sorprendentemente, un piano politico, uno economico e uno giuridico. Criteri per l’adesione sono: la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, il primato del diritto, i diritti umani, il rispetto delle minoranze e la loro protezione (criterio politico); l’esistenza di un’economia di mercato vitale nonché la capacità di far fronte alla pressione concorrenziale e alle forze del mercato all’interno dell’Unione europea (criterio economico) e la capacità di rispettare i propri obblighi, in particolare di approvare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria (criterio del recepimento dell’acquis comunitario). Questi sono i requisiti, che verranno poi meglio identificati nel Libro Bianco del maggio 1995 che definisce le priorità di tipo politico (ravvicinamento delle legislazioni) ed economico (misure di mercato interno) per l’adesione.
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Il presidente della Convenzione, Valery Giscard d'Estaing | Il Consiglio europeo di Essen a dicembre del 1994 stabilisce la strategia di preadesione basata sugli accordi di associazione. Dispone anche lo strumento di sostegno finanziario Phare, un intervento di aiuto economico inizialmente destinato all’Ungheria e alla Polonia. Sarà di nuovo in Germania, a Berlino nel 1999, che il Consiglio deciderà di aggiungere altri strumenti di sostegno economico dell’ampliamento: oltre al programma Phare, nascono Ispa (strumento strutturale di preadesione) e Sapard (strumento agricolo di preadesione). A Madrid nel dicembre 1995, quando l’Unione ha già firmato accordi di associazione con 12 paesi, alla lista manca solo la Slovenia, il Consiglio fissa l’avvio dei negoziati di adesione a sei mesi dalla conferenza intergovernativa. A luglio del 1997, la Commissione pubblica un documento fondamentale, Agenda 2000, un vero e proprio vademecum per il futuro europeo, in cui vengono delineate le prospettive finanziarie dell’Unione dal 2000 al 2006. Nel documento si propone che i negoziati sull’adesione vengano avviati con 6 paesi: Estonia, Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria e Slovenia e con Cipro, e si prevedono 21 miliardi di euro di sostegno al processo di adesione per i paesi candidati per il periodo 2000‑2006. Nel dicembre 2000, il Consiglio europeo di Nizza adotta il Trattato di Nizza che modifica il Trattato sull’Unione europea e prepara il funzionamento delle istituzioni europee in vista dell’allargamento. Le dichiarazioni contenute nel Trattato di Nizza stabiliscono le nuove ponderazioni di voto per il Consiglio, ma anche per il Comitato economico e sociale e per il Comitato delle Regioni, che entreranno in vigore il 1º gennaio 2005. Tra le altre novità: la decisione che quando l’Unione conterà 18 membri tutti i consigli si tengano a Bruxelles e la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che si caratterizza per un approccio molto “europeo” soprattutto per temi come la tutela del posto di lavoro e il rifiuto della pena di morte.
I partenariati per l’adesione
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Il vice presidente della Commissione europea, Loyola de Palacio | L’allargamento, come l’Unione monetaria, è figlio della caduta del muro di Berlino e del crollo dei regimi dell’Est socialista, e il semplice calendario con le date in cui sono stati firmati gli accordi di associazione con l’Unione europea si può leggere come testimonianza della storia vibrante dell’Europa moderna. All’inizio degli anni Settanta solo i paesi dell’area mediterranea avevano firmato accordi di associazione con l’Unione europea: Malta nel 1971, Cipro nel 1972 e la Turchia nel 1973. Bisognerà aspettare la caduta del Muro perché i nuovi governi democratici dei paesi, un tempo satelliti dell’Urss, possano firmare gli accordi di associazione con l’Ue. Le date degli accordi raccontano la storia individuale di quei paesi, che spesso fanno dell’avvicinamento all’Unione una delle prime mosse in politica estera: se la Polonia e l’Ungheria riescono a firmare un accordo già nel 1991, i paesi baltici, che riacquistano la piena indipendenza nei primi anni Novanta, firmano l’accordo nel 1995. I due Stati indipendenti della Repubblica ceca e la Repubblica slovacca nascono il 1º gennaio del 1993 dalla divisione della Cecoslovacchia e appena dieci mesi dopo, ad ottobre, firmano l’accordo di associazione. La Slovenia, infine, è l’ultima tra i firmatari, nel 1996, un segno chiaro delle difficoltà degli Stati della ex Iugoslavia.
Gli accordi europei costituiscono il quadro giuridico dell’associazione fra i paesi candidati e l’Ue. Riguardano le relazioni politiche ed economiche fra i partner e si prefiggono di creare un quadro, adeguato per la progressiva integrazione dei paesi candidati nella Comunità. Tali accordi, volti ad istituire una zona di libero scambio entro il 2002, prevedono la liberalizzazione degli scambi dei prodotti industriali e la cooperazione economica in numerosi settori. Consentono di discutere dei progressi della preparazione all’adesione, a livello ministeriale e in sede di consigli di associazione. Dato che gli accordi di associazione riguardano gran parte dei settori legati all’acquis comunitario, sono utilizzati per aiutare i paesi candidati ad elaborare un programma nazionale di recepimento dell’acquis comunitario (l’insieme delle norme, dei Trattati e dei principi alla base dell’Ue) e ad adottare le norme giuridiche comunitarie prima dell’adesione.
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Il commissario europeo per l'Ambiente, Margot Wallstrõm | A ben vedere, la tabella di marcia dell’allargamento è a buon punto su molti fronti e diversi paesi sono passati dagli accordi di associazione ai “partenariati per l’adesione”. Il processo di adesione per i primi sei paesi (Cipro, Ungheria, Polonia, Estonia, Repubblica Ceca e Slovenia) è iniziato a marzo del 1998. A febbraio 2000 sono partiti i negoziati con altri sei paesi (Malta, Romania, Repubblica slovacca, Lettonia, Lituania e Bulgaria) e presto inizieranno con la Turchia. Sono negoziati che si svolgono nel quadro di conferenze intergovernative bilaterali, riunioni semestrali dei ministri e riunioni mensili degli ambasciatori. I negoziati riguardano la capacità dei candidati di rispettare tutti gli obblighi di uno Stato membro dell’Unione europea e di applicare l’acquis comunitario alla data dell’adesione, in particolare le misure necessarie ad estendere il mercato unico, che dovranno essere attuate immediatamente. I negoziati riguardano anche gli aiuti di preadesione che l’Unione potrà fornire per agevolare il recepimento dell’acquis e possono concludersi anche se il recepimento completo dell’acquis non sarà terminato, grazie all’applicazione di misure transitorie dopo l’adesione. Gli eventuali periodi di transizione dovranno però essere per quanto possibile brevi e riguardare soltanto un numero limitato di settori. I partenariati per l’adesione precisano per ogni paese un programma nazionale di adozione dell’acquis comunitario, nel quale ciascun candidato deve indicare le risorse umane e finanziarie e il calendario di realizzazione previsto. I partenariati comprendono anche una valutazione congiunta delle priorità in materia di politica economica e un patto contro il crimine organizzato.
I “tracciati” di marcia
Ogni paese candidato conduce un negoziato formato da 31 capitoli che rappresentano altrettanti settori della vita pubblica, della politica e dell’economia degli Stati, dalla libera circolazione di beni, persone e servizi, alle materie “tradizionali” comunitarie come agricoltura, pesca e dogane, fino alle nuove acquisizioni dell’Unione, come l’Unione monetaria, l’armonizzazione delle statistiche, ma anche altri settori fondamentali della vita dei cittadini come istruzione, ricerca, ambiente, cultura.
Inizialmente i negoziati sono stati avviati a marzo del 1998 con sei paesi, ma nel dicembre 2000 il Trattato di Nizza ha messo tutti i candidati sullo stesso livello. Non ci sarà un ingresso differenziato deciso in partenza ma entrerà prima chi prima termina i negoziati. In altre parole, si premiano i migliori. Infatti, alcuni dei paesi che hanno iniziato i negoziati in un secondo tempo, sono già a buon punto: sono in uno stadio avanzato i negoziati con Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia, Estonia e Cipro, che hanno già chiuso provvisoriamente una ventina di capitoli, ma anche la Polonia, Malta, la Lituania e la Lettonia hanno proceduto di buon passo, mentre altri paesi come la Romania (sette capitoli chiusi) o la Bulgaria (dieci capitoli chiusi) sono più indietro nella tabella di marcia. Tra i capitoli non ancora chiusi ci sono soprattutto quelli della concorrenza, fisco, unione monetaria, disposizioni finanziarie e di bilancio, ma anche trasporti e cooperazione sugli affari interni e giudiziari. Sono invece conclusi per tutti i paesi i negoziati che riguardano: le statistiche, le piccole e medie imprese, scienza e ricerca, istruzione e formazione, relazioni esterne e politica estera e di sicurezza comune. La definizione esatta delle posizioni negoziali è prevista in seguito a una procedura di valutazione nei particolari (“screening”) della situazione di ciascun paese candidato rispetto alla normativa comunitaria. L’ultimo screening è datato novembre 2000 e contenuto nel “Documento di strategia per l’ampliamento” della Commissione. Sulla base dell’analisi comune l’Unione europea deve definire, all’unanimità del Consiglio, il “tracciato” per ciascuno dei candidati partecipanti ai negoziati.
Nell’ultimo screening della Commissione si conclude che i paesi candidati coinvolti nei negoziati soddisfano i criteri politici, anche se alcuni devono fare progressi nella tutela dei diritti delle minoranze. Preoccupano inoltre la corruzione e la riforma dei sistemi giudiziari. Non soddisfa ancora i criteri politici di Copenaghen la Turchia, che deve tradurre in misure concrete le sue intenzioni in materia di diritti umani. Le prestazioni economiche globali dei paesi candidati sono considerate soddisfacenti, anche se si accentuano le differenze tra i diversi paesi. La crescita media del Pil nel 1999 è stata del 2,2% con punte massime in Slovenia del 4,9%, Cipro e Ungheria del 4,5% e Polonia e Malta dei 4,2%, mentre gli effetti negativi della crisi russa hanno avuto come conseguenza una crescita negativa nei paesi baltici (più marcata in Lituania con 4,1%) e in Turchia (‑5%). Tra i paesi candidati sono soprattutto Bulgaria e Romania a non soddisfare il criterio di “essere un’economia di mercato funzionante”, mentre il secondo criterio economico, “essere in grado di far fronte alle capacità concorrenziali delle forze di mercato dell’Unione europea” dovrebbe essere soddisfatto soprattutto da Cipro, Malta e a breve termine da Estonia, Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovenia.
Per quanto riguarda l’euro, i paesi candidati parteciperanno all’Unione monetaria, senza entrare in un primo tempo nella zona euro, in altre parole dovranno progredire verso riforme economiche e strutturali indicati dall’Uem, per poi in un secondo tempo partecipare pienamente al mercato unico e solo in un terzo tempo entrare nell’euro. Sono ad uno stadio avanzato di allineamento settori come la standardizzazione e la certificazione e la maggior parte dei paesi ha fatto buoni progressi per quanto riguarda i servizi, i movimenti di capitale e il diritto societario. Molti paesi hanno perfezionato la legislazione in materie come la proprietà intellettuale e industriale e i paesi candidati sono allineati sulla politica estera e di sicurezza comune. Resta invece molto da fare per i trasporti, la politica dell’occupazione e la gestione delle frontiere, come anche per la convergenza delle politiche agricole nazionali con la politica agricola comune.
Gli strumenti di sostegno
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La Banca europea per gli investimenti a Lussemburgo | I leader dell’Unione europea hanno riconosciuto fin dai primi giorni della “rivoluzione delicata” la necessità di aiutare i paesi dell’Europa centrale e orientale nella difficile trasformazione verso un sistema di democrazia politica ed economia di mercato e oggi l’assistenza finanziaria verso i paesi candidati è di circa 3 miliardi di euro all’anno. Il primo programma di sostegno, inizialmente indirizzato all’Ungheria e alla Polonia, nasce già nel 1989 e viene chiamato Phare. Oggi riguarda 14 paesi. Inizialmente Phare coordinava l’assistenza tecnica e gli aiuti umanitari, mentre oggi riguarda soprattutto gli investimenti, l’ambiente e le infrastrutture. Il programma mira ad aiutare le amministrazioni degli Stati candidati ad adottare l’acquis comunitario e ad allineare l’industria, dotandola delle infrastrutture necessarie. Si svolge su base pluriennale, sotto forma di aiuti non rimborsabili. Il costo è sostenuto dall’Unione europea, di concerto con la Banca europea per gli investimenti, la Banca mondiale e la Banca europea per la ricostruzione.
Circa il 30% dei fondi Phare vengono utilizzati per la formazione e management all’interno dell’amministrazione e di importanti settori nel privato dei paesi candidati, mentre il 70% è destinato ai requisiti di infrastruttura, il tutto mediante una dotazione finanziaria di 1,5 miliardi di euro all’anno.
Con il nuovo millennio Phare non è più l’unico programma: Agenda 2000 ha previsto infatti l’aggiunta di due fondi specifici, destinati rispettivamente all’agricoltura e all’ambiente e ai trasporti. Il fondo di sostegno all’agricoltura è Sapard, dotato di 520 milioni di euro all’anno, che ha come obiettivo quello di risolvere i problemi di adattamento a lungo termine del settore agricolo nei paesi candidati e di contribuire ad un allineamento con la politica agricola comune. Si tratta di un cofinanziamento da parte della Commissione, sulla base di un piano di sviluppo rurale di ogni paese. Nei paesi candidati ci sarà un’agenzia Sapard accreditata, per la gestione e i pagamenti. Ispa, che dispone di un miliardo di euro all’anno, nasce anche esso da Agenda 2000 e prevede aiuti strutturali nel settore dei trasporti e dell’ambiente. Nel settore dell’ambiente gli aiuti sono destinati a progetti che consentano ai paesi beneficiari di adeguarsi agli standard europei, mentre per i trasporti si tratta soprattutto di contributi alle infrastrutture.
Oltre agli strumenti di sostegno veri e propri, è fondamentale la partecipazione dei cittadini dei paesi candidati ai programmi comunitari, soprattutto quelli destinati ai giovani, alla ricerca, alle piccole e medie imprese e alla salute pubblica. Tra il 1998 e il 1999 oltre 16 mila studenti dei paesi candidati hanno partecipato al programma di scambi universitari Erasmus e 34 mila al programma Youth.
La sfida dell’informazione
La questione dell’allargamento dominerà la politica europea dei prossimi anni. Ma cosa ne pensano i cittadini coinvolti? Vediamo cosa dicono i sondaggi. Dagli studi effettuati emerge un’opinione eterogenea. Innanzitutto si nota una prima grande differenza tra i cittadini dei paesi candidati e i cittadini degli Stati membri. Infatti, mentre per i primi l’allargamento è una priorità, per i cittadini degli Stati membri non lo è, nonostante vi sia in genere un’opinione pubblica favorevole all’allargamento. Inoltre le differenze regionali sono piuttosto marcate. Le preoccupazioni nei paesi candidati riguardano i mutamenti sociali ed economici che a volte, in un primo impatto, possono portare ad un peggioramento nella qualità di vita del singolo. Negli Stati membri, invece, si temono come effetti negativi dell’ampliamento immigrazione incontrollata, dumping, criminalità, concorrenza sleale.
Un progetto così ambizioso richiede una strategia di comunicazione pluriennale (per il momento è prevista dal 2001 al 2006). Il “consenso” deve essere considerato parte integrante dei negoziati. Non a caso il Parlamento europeo «si compiace che la Commissione abbia sviluppato una strategia di informazione sui vantaggi dell’ampliamento» e «invita i paesi canditati a coordinare le proprie campagne di informazione», nonché la stessa Commissione a «assegnare ai servizi competenti il personale necessario». Per questa opera di comunicazione la Commissione ha deciso di coinvolgere in prima persona le Rappresentanze nei 15 Stati membri e le Delegazioni nei 13 paesi candidati. L’obiettivo è di creare un ampio effetto moltiplicatore da parte degli opinion leader, dei giornalisti, dei partiti politici; della chiesa, dei sindacati, delle associazioni commerciali, delle associazioni giovanili e femminili.
La Commissione dispone di un commissario per l’Allargamento, il tedesco Günter Verheugen, e di un’apposita Direzione generale, mentre il Parlamento ha messo a disposizione una task force sull’allargamento. Nel giugno 2001 è stato pubblicato l’indirizzario sull’allargamento. L’Address Book è una guida con i nomi e i cognomi delle persone che in 27 paesi, stanno lavorando a questo progetto, sia nelle istituzioni comunitarie, che negli Stati membri e nei paesi candidati. Contiene anche tutti i riferimenti per i programmi di assistenza Phare, Ispa e Sapard.
I Paesi candidati
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La Cattedrale di Sofia | Bulgaria - Nonostante i notevoli progressi fatti dalla Bulgaria nel ravvicinare le leggi e, in misuna minore, nell’applicarle, il settore agricolo è tuttora fonte di problemi dovuti in parte alla mancanza di finanziamenti. Le ispezioni veterinarie non sono ancora conformi alle norme europee, anche se la Bulgaria ha spianato la via al varo del programma Sapard. Nel campo dei trasporti si è registrata una netta accelerazione, con l’adozione di misure in tutti i settori e le prime iniziative a favore della sicurezza marittima.
Nel complesso, la capacità dell’amministrazione e del sistema giudiziario bulgari di far applicare l’acquis comunitario è limitata. Finora, infatti, ci si è concentrati sull’elaborazione e sull’adozione delle leggi, trascurando le modalità di attuazione e la capacità di valutare l’impatto finanziario della nuova legislazione.
Cipro - Cipro ha un’economia di mercato funzionante che cresce a ritmo sostenuto e registra un tasso di piena occupazione. Dovrebbe essere in grado di far fronte alle pressioni concorrenziali del mercato Ue. Il fatto che l’isola sia divisa costituisce il problema politico più rilevante. Negli ultimi dodici mesi, Cipro ha realizzato le priorità a breve termine del suo partenariato per l’adesione in materia di pesca e trasporti, e le ha conseguite in parte in quasi tutti gli altri settori. Occorrono però altre misure di armonizzazione per quanto concerne gli aiuti di Stato relativamente alla concorrenza e l’ambiente. Cipro ha fatto progressi verso il conseguimento delle priorità a medio termine del partenariato per l’adesione, realizzandole completamente in settori quali il mercato interno, l’energia, la giustizia e gli affari interni.
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Tallin: il Castello, oggi sede del Governo | Estonia - L’Estonia ha continuato a prendere misure in tutti i settori di priorità a breve termine dei partenariato per l’adesione. Sono state conseguite in particolare le priorità connesse alle telecomunicazioni, al settore audiovisivo, alla standardizzazione e alla valutazione della conformità, ai settori veterinario e fitosanitario, ai trasporti, alla salute e alla sicurezza sul posto di lavoro, all’occupazione e agli uffici di collocamento. Non sono invece stati raggiunti gli obiettivi prioritari riguardanti le commesse pubbliche, il diritto del lavoro, il diritto penale, le dogane e la sorveglianza del mercato. L’Estonia ha già preso alcune misure per conseguire un certo numero di priorità a medio termine del partenariato per l’adesione. Il paese ha consolidato la sua stabilità macroeconomica, tuttavia non è riuscito a contenere sufficientemente la spesa pubblica.
Lettonia - Nel paese è proseguita la riforma della pubblica amministrazione, che comprende l’adozione della nuova legge sul pubblico impiego, è migliorato il funzionamento del sistema giudiziario ed è stato definito un quadro per la lotta contro la corruzione. Si sono prese misure importanti per favorire l’integrazione dei non lettoni nella società. La Lettonia ha fatto progressi verso il conseguimento delle priorità a breve termine del partenariato, ma dovrà accelerare la riforma della pubblica amministrazione, potenziare ulteriormente il sistema giudiziario e continuare a combattere la corruzione su vasta scala.
Fra i settori in cui l’allineamento è andato più a rilento figurano la libera circolazione delle persone, le telecomunicazioni e le tecnologie dell’informazione. La Lettonia ha già raggiunto un grado relativamente soddisfacente di sviluppo istituzionale in alcuni settori quali il mercato interno. Nella maggior parte dei settori, tuttavia, resta ancora molto da fare. Ad esempio, le autorità lettoni competenti in materia di agricoltura, ambiente, politica sociale, giustizia e affari interni e politica regionale non sono in grado di gestire correttamente l’acquis comunitario.
Lituania - La Lituania ha mantenuto la stabilità macroeconomica ed è riuscita a ridurre sia gli squilibri fiscale ed esterno che l’ingerenza dello Stato. Le misure di protezione introdotte dopo la crisi russa sono state in gran parte revocate. La privatizzazione del settore bancario è proseguita con buoni risultati. Sono state adottate leggi importanti per ristrutturare e liberalizzare il settore dell’energia e si è quasi completata la restituzione delle terre. Occorre però salvaguardare la disciplina fiscale e tenere sotto controllo il disavanzo delle partite correnti.
Nel complesso, la Lituania ha fatto buoni progressi verso il conseguimento delle priorità a breve termine del partenariato per l’adesione, specie per quanto concerne la riforma economica. Resta però ancora molto da fare in materia di imposizione fiscale, agricoltura, politica regionale e controllo finanziario. Il paese dovrà dar prova di maggiore impegno in settori quali l’agricoltura, l’imposizione e la capacità amministrativa (compresi la gestione e il controllo dei fondi comunitari).
Malta - Malta ha un’economia di mercato funzionante, che dovrebbe essere in grado di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione. L’economia maltese registra un lieve miglioramento in termini macroeconomici. Oltre alla riduzione del disavanzo pubblico, si è dato maggiore spazio ai programmi di ristrutturazione/privatizzazione nonché all’imprenditorialità. Il disavanzo pubblico, tuttavia, rimane molto elevato.
Il paese ha fatto notevoli progressi in materia di proprietà intellettuale e industriale, diritto societario, telecomunicazioni, cultura e politica audiovisiva. Il paese dovrà adoperarsi ulteriormente per quanto riguarda la protezione dei dati, l’immigrazione, la politica dei visti e la cooperazione giudiziaria. I progressi sono scarsi per quanto riguarda l’agricoltura, l’ambiente e la politica regionale. La maggior parte delle priorità a breve termine del partenariato per l’adesione è stata conseguita, completamente o in parte, con risultati particolarmente significativi a livello di politica industriale, giustizia e affari interni.
Polonia - La Polonia ha avviato la riforma del sistema giudiziario, ma non si sono ancora raggiunti gli obiettivi prioritari a medio termine del partenariato per l’adesione. Oltre a mantenere una stabilità macroeconomica sufficiente, il paese ha continuato a registrare una crescita considerevole. La privatizzazione è proseguita piuttosto bene, accompagnata dall’ulteriore ristrutturazione in settori sensibili quali l’industria siderurgica e l’industria bellica. Sono emersi però diversi squilibri economici, con una forte inflazione e un aumento del disavanzo delle partite correnti. La privatizzazione della siderurgia e la ristrutturazione dell’agricoltura accusano un certo ritardo e molte imprese pubbliche devono ancora essere ristrutturate.
La situazione della Polonia in termini di libera circolazione dei servizi e dei capitali, nel complesso soddisfacente, non è però migliorata molto rispetto alla precedente relazione periodica. Per integrarsi agevolmente nel mercato interno, inoltre, il paese dovrà dar prova di notevole impegno anche in materia di commesse pubbliche e di circolazione delle persone.
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Veduta di Praga: sullo sfondo, la Cattedrale di San Vito | Repubblica ceca - La Repubblica ceca può essere considerata un’economia di mercato funzionante, che dovrebbe essere in grado di far fronte, a breve termine, alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione purché prosegua e porti a termine l’attuazione delle riforme strutturali. È indispensabile rafforzare la concorrenza e la sorveglianza nel settore finanziario onde rendere più efficaci le politiche macroeconomiche e incrementare l’attività economica. Il paese dovrà impegnarsi per proseguire la privatizzazione e la ristrutturazione delle imprese pubbliche, nonché per migliorare la gestione aziendale, e dovrà dar prova di maggiore impegno per la riforma dell’ammistrazione e del sistema giudiziario. Si è fatto ben poco per combattere la corruzione e la criminalità economica. È notevolmente migliorata, invece, la coesione economica e sociale. La Repubblica ceca continua a rispettare i diritti umani e le libertà e ha creato una rete di istituzioni competenti in materia.
Romania - Grazie all’impegno politico del governo si è fatto qualche passo avanti per migliorare la situazione dei bambini negli orfanotrofi. I Rom, tuttavia, sono tuttora vittime di fortissime discriminazioni, che rimangono un problema di estrema gravità. Il funzionamento del sistema giudiziario migliora, ma le riforme dovranno essere mantenute e consolidate. Dovrà inoltre proseguire la smilitarizzazione della polizia e degli altri organismi che fanno capo al ministero degli Interni. Le istituzioni democratiche della Romania poggiano su solide basi, ma si rilevano carenze nel processo decisionale.
La Romania non può essere considerata un’economia di mercato funzionante e non è in grado di far fronte, a medio termine, alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione. Non si osservano miglioramenti di rilievo delle prospettive economiche future. Vanno segnalati sviluppi positivi nei settori del diritto societario e della concorrenza, ma il paese deve fare ulteriori progressi in un gran numero di settori. La Romania deve ancora elaborare la legislazione quadro per il mercato interno e operare una riforma strutturale radicale nel settore agricolo.
Repubblica slovacca - Il paese ha consolidato il suo sistema democratico, ma il ritmo del processo di riforme è stato rallentato. La Slovacchia può essere considerata un’economia di mercato funzionante, che a medio termine potrebbe far fronte alle pressioni concorrenziali dell’Unione purché porti a termine tutte le riforme strutturali previste, comprese quelle non ancora avviate. Il paese dispone di buona parte del quadro legislativo necessario all’attività delle imprese, sta eliminando le distorsioni dei prezzi e ha avviato la privatizzazione dei servizi pubblici.
Le priorità a breve termine sono state conseguite in misura estremamente diversa a seconda dei settori. Il mercato interno è il settore in cui la Slovacchia ha raggiunto i maggiori risultati, mentre gli obiettivi di politica sociale e occupazione, energia, giustizia e affari interni sono stati conseguiti solo in parte, e ancora meno nel caso dell’agricoltura.
Le priorità a breve termine riguardanti l’ambiente e il potenziamento della capacità amministrativa e giudiziaria sono rimaste irrealizzate.
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Lubiana: il centro della città | Slovenia - Il paese ha mantenuto la stabilità macroeconomica, tenendo sotto controllo la bilancia fiscale e creando i presupposti per una crescita sostenuta. Oltre ad aver preso qualche misura per garantire la sostenibilità a medio termine della riforma delle pensioni, la Slovenia dispone di gran parte del quadro giuridico e istituzionale richiesto dall’economia di mercato.
Il paese ha fatto progressi soddisfacenti in settori fondamentali quali l’ambiente, l’agricoltura, la libera circolazione delle merci, la libera prestazione dei servizi e l’energia, dove i preparativi per l’adesione sono piuttosto avanti. I progressi, tuttavia, sono più modesti in altri settori, tra cui la libera circolazione delle persone, le telecomunicazioni e l’audiovisivo, i controlli alle frontiere, le commesse pubbliche. La capacità amministrativa slovena, inoltre, deve essere ulteriormente rafforzata in un certo numero di settori. Nel complesso la Slovenia ha conseguito un gran numero di priorità a breve termine.
Turchia - Fra gli sviluppi positivi dopo l’ultima relazione periodica va segnalato l’avvio di un vasto dibattito tra gli esponenti della società turca sulle riforme politiche richieste dall’adesione all’Ue. A tale riguardo, sono state prese due iniziative importanti: la firma di numerosi strumenti internazionali sui diritti umani e la recente ratifica, da parte del governo, dei lavori del Comitato supremo di coordinamento per i diritti umani. Rispetto al 2000, tuttavia, la situazione in loco non è molto migliorata, e la Turchia non soddisfa ancora i criteri politici di Copenaghen. Pur presentando le caratteristiche di base di un sistema democratico, la Turchia è indietro con le riforme istituzionali necessarie per tutelare la democrazia e lo stato di diritto. È rimasta praticamente immutata anche la situazione nella parte sud‑orientale, la cui popolazione è prevalentemente curda.
Pur essendo riuscita a correggere in parte gli squilibri più salienti della sua economia, la Turchia non dispone ancora di un’economia di mercato funzionante. Nondimeno, molti settori dell’economia turca sono già in grado di far fronte alle pressioni competitive e alle forze di mercato all’interno di un’unione doganale con la Ce. La Turchia ha fatto notevoli progressi in termini di stabilizzazione macroeconomica. La privatizzazione delle imprese di Stato è stata condotta con buoni risultati, e si sono prese le prime importanti iniziative per riformare il settore agricolo, la previdenza sociale e il settore finanziario. La Turchia dovrà impegnarsi in misura considerevole per allinearsi all’acquis comunitario.
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Budapest: veduta parziale del Parlamento | Ungheria - L’Ungheria ha un’economia di mercato funzionante, che dovrebbe essere in grado di far fronte, a breve termine, alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione, purché prosegua sulla via delle riforme. Il paese ha fatto notevoli progressi per quanto riguarda il consolidamento della stabìlità macroeconomica, delle partite correnti e della base istituzionale dell’economia di mercato. Oltre a potenziare le infrastrutture, l’Ungheria ha portato avanti la ristrutturazione delle imprese, accompagnata dalla creazione di numerose nuove società grazie, soprattutto, agli investimenti esteri diretti. La stabilizzazione dei prezzi procede con lentezza preoccupante e il mantenimento di una competitività esterna richiederà politiche adeguate. L’Ungheria ha raggiunto un buon grado di preparazione all’adesione in quasi tutti i settori. Tra le priorità a breve termine ancora non raggiunte: l’agricoltura, l’ambiente, alcuni elementi del mercato interno, la politica industriale e l’unione economica e monetaria.
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