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Editoriale
Paolo Fois
Allargamento e insularità
Romano Prodi
Una possibilità concreta di riunificare l'Europa

Il lungo cammino dell’Allargamento
Umberto Triulzi
Nuova Europa e politica mediterranea
Paolo De Castro
Agricoltura: un ruolo decisivo nel processo di allargamento
Alessandro Profumo
Lo spazio delle banche nella nuova Europa

Per il commercio una boccata di ossigeno

Una nuova legge per il commercio

Indice per argomento 1985-2002 del bimestrale di informazione economica "Sardegna industriale"

 

Una possibilità concreta di riunificare l'Europa
Romano Prodi

 

Romano Prodi intervistato dai giornalisti a Bruxelles
Romano Prodi intervistato dai giornalisti a Bruxelles
La Commissione che presiedo ha appena superato la metà del suo mandato. La prima parte della sua vita istituzionale è stata caratterizzata dal successo dell’euro.

La seconda parte sarà caratterizzata dall’allargamento, dal progressivo avvicinamento dei Balcani all’Europa e dalla volontà di estendere un’area di stabilità e di sicurezza a tutti i paesi che diventeranno i nostri nuovi vicini, dalla Russia al Mediterraneo.

Come sapete, tra due anni potrebbero già entrare dieci paesi: i tre paesi baltici: Estonia, Lettonia e Lituania; i quattro paesi dell’Europa centrale: Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia; la Slovenia, che si trova a poca distanza da noi, ed infine Malta e Cipro, le due isole mediterranee.

In una seconda fase, sarà la volta di Romania e Bulgaria, che stanno già negoziando ma hanno bisogno di più tempo per adattarsi agli standard europei. Mentre la Turchia, che non ha ancora iniziato i negoziati, è per ora in una categoria a sé.

L’urgenza del presente non deve farci dimenticare però la prospettiva storica. Tutta la storia della Comunità prima e dell’Unione poi si può ricapitolare in una serie di successivi allargamenti.

Sul Trattato di Roma ci sono sei firme. I paesi che hanno aderito per primi al progetto si sono impegnati a realizzare “un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa”. Ciò significa che l’integrazione europea è sin dalla nascita un progetto aperto, come del resto è esplicitamente affermato nei trattati.

Tutti i paesi europei, se condividono e rispettano i principi e i valori fondamentali dell’Unione e soddisfano i criteri di adesione, possono partecipare al progetto europeo. E infatti i sei paesi originari sono diventati via via 9, 10, 12 e infine, nel 1995, i 15 membri attuali.

Tutti questi paesi hanno deciso di abbracciare una nuova identità europea. Insieme, hanno dato vita ad un processo che ha garantito mezzo secolo di armonia e di pace, ha stimolato uno sviluppo economico senza precedenti ed ha generato stabilità e crescita.

Qual è il significato dell’allargamento dal punto di vista italiano?

Per l’Italia allargare l’Unione significa riallacciare quei legami naturali – economici, culturali e sociali – che sono rimasti artificialmente interrotti per mezzo secolo. Un esempio per tutti: la Banca Commerciale di Trieste prima della seconda guerra mondiale effettuava il 50% delle sue operazioni a est della città. Oggi, è già possibile per un’impresa analoga riprendere il discorso sospeso con l’avvento della guerra fredda, ma stavolta sotto il più grande e solido ombrello dell’Unione europea. Del resto, lo stesso ombrello sta permettendo all’Italia, come ad altri paesi europei, di ritrovare una parte di Europa, al di là dell’Adriatico, che per troppo tempo era venuta a mancare.

Con il processo di stabilizzazione e associazione dei Balcani all’Unione, l’Italia sta ritrovando un’area di cooperazione nel sud-est europeo di grande importanza strategica.

L’Italia infine può assumere un ruolo centrale anche all’interno della politica di vicinato dell’Unione, strettamente legata all’allargamento. Sono evidenti, infatti, i vantaggi che possono derivare all’intera Europa e all’Italia in particolare dal rafforzamento della cooperazione politica, economica e culturale con la Russia, l’Ucraina, ed il Mediterraneo.

L’Italia si trova alla frontiera, a contatto diretto con aree d’importanza vitale per l’intera Europa.

L’Unione allargata non sarà un continente chiuso, diffidente verso l’esterno e che erige nuovi muri di Berlino con i suoi vicini o con il Sud del mondo.

L’Unione allargata dovrà essere un’Unione aperta al dialogo e alla cooperazione.

In tale strategia, l’Italia non sarà un paese “di frontiera” ma si troverà al centro di nuove dinamiche, nell’Adriatico e nel Mediterraneo.

Il dialogo di buon vicinato con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo ha assunto un’importanza tutta speciale dal settembre dello scorso anno. Tuttavia l’Europa non ha dovuto attendere i tragici eventi dell’11 settembre per puntare con decisione sul dialogo euro-mediterraneo.

Fra tutte le azioni e i programmi in corso, voglio sottolineare il grande lavoro che la Commissione sta facendo sul piano degli scambi culturali, perché alla base del dialogo c’è la capacità di ascoltare e alla base di questa c’è il desiderio di conoscere l’altro.

Per tornare all’allargamento, vorrei aprire qui una riflessione. Si parla spesso della globalizzazione che sta segnando la nostra epoca e spesso se ne parla con toni giustamente preoccupati. L’allargamento, e più in generale tutto il processo di integrazione europea, è un’alternativa credibile a tanti timori. Si tratta, a ben vedere, del primo e, finora, dell’unico esempio di gestione democratica della globalizzazione su scala regionale.

Romano Prodi con il commissario europeo per l'Allargamento Günter Verheugen
Romano Prodi con il commissario europeo per
l'Allargamento Günter Verheugen
Quello dell’integrazione europea è un processo che condivide molti tratti con la globalizzazione, per esempio il libero movimento di merci e servizi attraverso le frontiere nazionali. Tuttavia, all’interno della nostra zona di libero scambio non prendiamo tutte le decisioni per motivi puramente commerciali.

Conosciamo i pericoli nascosti del mercato quando ci si affida esclusivamente ad esso. Per esempio, conosciamo l’effetto di omogeneizzazione che spinge le economie e le culture più piccole e più deboli ad assomigliare sempre di più a quelle grandi e forti. Conosciamo la progressiva erosione della sovranità nazionale dovuta allo strapotere delle grandi imprese multinazionali.

La nostra strada è diversa. Noi rispettiamo i diritti e le istanze di tutte le parti in causa. Negli anni, abbiamo sviluppato un sistema di tutele delle caratteristiche locali, siano esse economiche, politiche, sociali o culturali. Gli esempi sono numerosi e immediati: la politica di coesione, il nostro sforzo di preservare e di nutrire un modello di sviluppo solidale, la nostra politica a favore del multilinguismo, ecc.

Allargare l’Unione, quindi, significa soprattutto estendere una garanzia a tutte le democrazie che sono nate dai rivolgimenti del 1989.

L’allargamento del 2004 è sì il quinto della nostra storia ma è diverso da tutti gli altri. È un allargamento senza precedenti in termini di dimensioni e di diversità. Basta pensare al numero di candidati, all’estensione territoriale, al numero di nuovi cittadini e soprattutto alla ricchezza di storia e di cultura che i nuovi paesi porteranno alla famiglia europea.

Comprendendo Romania e Bulgaria, la popolazione dell’Unione crescerà di quasi un terzo passando dai 375 milioni attuali a circa mezzo miliardo di cittadini.

L’Europa allargata sarà allora il più grande mercato del mondo. Questi fatti da soli danno l’idea della dimensione dell’impresa e indicano le sfide alle quali l’Unione dovrà far fronte nei prossimi anni. Permettetemi di analizzare le sfide principali a cominciare dall’economia.

Come ho detto poc’anzi, la popolazione dell’Unione crescerà di quasi un terzo con l’ingresso di dodici nuovi paesi. Tuttavia, date le ridotte dimensioni delle loro economie nazionali, il peso economico dell’Unione crescerà in misura molto più ridotta.

Per riuscire in questa impresa, però, non abbiamo richiesto nessun aumento di risorse.

Romano Prodi e il presidente della Regione Sardegna Mauro Pili in un recente incontro a Bruxelles
Romano Prodi e il presidente della Regione Sardegna Mauro Pili in un recente incontro a Bruxelles
Il Consiglio europeo di Berlino ha fissato già nel 1999 il tetto di spesa per l’allargamento. E questo tetto, parte integrante dell’Agenda 2000, sarà rispettato in pieno: l’allargamento dunque, questo evento storico, verrà gestito entro i limiti finanziari previsti a Berlino, anche se rispetto a Berlino varie cose sono cambiate e, soprattutto, i negoziati sono stati estesi a ben dodici paesi candidati.

D’altra parte, l’influenza dell’Unione sulle economie nazionali dei paesi candidati sarà assai considerevole. In seguito all’allargamento, la crescita media nei futuri Stati membri sarà molto più alta di quella dei 15 membri attuali.

Lo sviluppo ridurrà la pressione migratoria proveniente dai paesi candidati. I cittadini saranno liberi di circolare su tutto il continente, ma solo perché lo vorranno, e non perché vi saranno costretti da motivi economici o sociali. È chiaro infatti che nessuno desidera lasciare il proprio paese nel momento in cui il paese cresce, si modernizza e offre nuove opportunità.

Ma i vantaggi economici e sociali non saranno a senso unico. Questa è una lezione chiarissima che ci viene dagli allargamenti del passato. È già intensissimo l’interscambio commerciale fra i paesi candidati e gli attuali Stati membri. E fra questi l’Italia è in prima fila. Con l’ulteriore abbassamento delle barriere nazionali e la crescita del potere d’acquisto, i nuovi Stati membri rappresenteranno un nuovo, importante mercato a cui avremo tutti un accesso privilegiato.

Tutti attendono il 2004 con legittima curiosità e trepidazione. Secondo il programma che abbiamo tracciato, infatti, se i negoziati di adesione si concluderanno in modo soddisfacente, proprio nel 2004 i cittadini dei paesi candidati potranno eleggere i loro rappresentati al Parlamento europeo e i nuovi Stati saranno membri dell’Unione a tutti gli effetti.

Peraltro, l’allargamento per molti versi è già cominciato. I paesi candidati stanno già cooperando strettamente con le diverse istituzioni. Al vertice europeo di Barcellona, per esempio, i loro rappresentanti hanno partecipato alla discussione sulla strategia di Lisbona. Una volta entrati nell’Unione, i nuovi paesi saranno strettamente associati alle grandi azioni di modernizzazione e di rafforzamento della competitività che essa prevede.

In seno alla Convenzione sul futuro dell’Europa, i futuri Stati membri sono già parte integrante e partecipano al dibattito sulla nuove strutture di quella che sta finalmente diventando una casa comune.

Stanno dunque partecipando pienamente ad un passaggio storico fondamentale della vita istituzionale e politica dell’Unione. Un passaggio che si sta realizzando attraverso un metodo, quello della Convenzione, nuovo e democratico, finalmente aperto alla partecipazione e del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali, e che sta beneficiando del prezioso contributo dei rappresentanti dei governi e dei parlamenti dei futuri membri dell’Unione.

I cittadini europei e il mondo intero guarda con attenzione all’allargamento e alla riforma dell’Unione. Non possiamo fallire, dobbiamo garantire il pieno successo dell’operazione. Sarà soprattutto importante gestire il periodo di transizione, perché proprio nei primissimi anni si formeranno i giudizi e si definiranno i comportamenti di milioni di persone.

Il processo di allargamento muove dalla volontà di riunificare tutto il continente e di ripartire insieme per un nuovo e grande progetto europeo.

Non posso nascondere la mia personale soddisfazione di poter accogliere i nuovi Stati membri in qualità di presidente della Commissione.

Nel corso delle mie visite e dei miei contatti con i paesi candidati ho sempre incontrato un grande entusiasmo. Nei paesi candidati si stanno compiendo grandi sforzi per adottare ed attuare il corpus di norme comunitarie noto come acquis. Più in generale, i paesi ed i popoli che faranno parte dell’Unione stanno compiendo uno sforzo senza precedenti per sviluppare la loro capacità di adesione al progetto comune europeo.

L’adesione all’Unione Europea non comporta dei semplici adattamenti tecnici, ma un grande cambiamento di società. Per questo, è fondamentale spiegare e informare i cittadini europei presenti e futuri sul significato dell’allargamento e sui vantaggi che esso porterà.

Ma soprattutto, occorre insistere sul senso più profondo dell’intero processo che è di ordine sociale e politico.

Tutti, dai tedeschi agli italiani ai maltesi, dovranno avere piena la percezione che siamo cittadini dei nostri rispettivi Stati ed anche cittadini dell’Europa, protagonisti, e non spettatori passivi, di un grande progetto sociale e politico. Abbiamo bisogno di un profondo, autentico senso di appartenenza al progetto europeo. Il segreto del successo dell’allargamento sarà la nostra capacità di costruire su questa base un autentico consenso democratico e popolare.