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Editoriale
di Gabriella Lai
C'è ancora spazio per la chimica in Sardegna?
di Gherardo Gherardini
Ore decisive per le industrie di Portovesme

IL PIANO STRATEGICO DELLA CITTA' DI CAGLIARI - Sintesi del documento approvato dal Consiglio comunale il 22 settembre 2009

 

C'è ancora spazio per la chimica in Sardegna?
di Gabriella Lai

 

Veduta parziale di un impianto chimico nella zona industriale di Sarroch, a pochi chilometri da Cagliari
Veduta parziale di un impianto chimico nella zona
industriale di Sarroch, a pochi chilometri da Cagliari
Con il crollo delle Partecipazioni Statali, gran parte del sistema industriale sardo è stato spazzato via senza che alle vecchie si sostituissero nuove iniziative. Il settore chimico ha continuato a perdere pezzi, malgrado i tentativi di salvataggio o riconversione, nessuno con esiti positivi duraturi.
L’ultimo di rilevanza nazionale risale al luglio del 2003 quando, a Roma, fra la Regione Sardegna e il Governo fu sottoscritto un accordo che avrebbe dovuto rivitalizzare, qualificandoli, i poli chimici dell’isola. L’obiettivo era di salvare il salvabile di quanto restava di quell’industria in crisi, anche cofinanziando i progetti dell’imprenditoria privata.
Nella circostanza fu scritto e detto che «la chimica ha importanza strategica per il Governo nazionale e per quello regionale». In Sardegna, poi, quello petrolchimico è un sistema integrato, da Porto Torres al Sulcis, da Ottana ad Assemini: ciascuno stabilimento è funzionale all’altro. Ogni volta che ne viene meno uno, si corre il rischio di un catastrofico “effetto domino”.
Anche i numeri sono illuminanti per valutare il peso economico strategico del comparto: sul fronte occupazionale, sono in ballo, infatti,  circa 3 mila posti di lavoro, fra occupazione diretta (2 mila unità)  o presso ditte appaltatrici.
L’Accordo di programma del 2003 prevedeva a favore del settore una dote di 300 milioni di euro, rimasti sulla carta tranne che per una tranche di 37 milioni come contributo al progetto Equipolymers ad Ottana. Per il rilancio della chimica veniva considerato centrale, allora come oggi, il progetto per il cloro/pvc che riguarda Marghera, Ravenna, Porto Torres e Assemini. Un progetto ostacolato dal disinteresse dell’Eni, peraltro neanche troppo mascherato, se è vero che (invece di migliorare le tecnologie del cracking per incrementare la produzione di etilene) i due impianti più moderni di Porto Torres (fenolo e cumene) sono fermi da più di un anno.
È altresì importante sottolineare che il petrolchimico di Sarroch, legato in parte, per conto lavorazione, con Saras (linea delle benzine), è vincolato con il paraxilolo allo stabilimento Equipolymers di Ottana per la produzione del pet (plastica per bottiglie). Se chiudesse Ottana, correrebbe forti rischi anche la stabilità di Sarroch.

L'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni
L'amministratore delegato
dell'Eni, Paolo Scaroni
Porto Torres -
Un paragrafo dell’accordo romano del 14 luglio 2003 era dedicato all’Ineos, produttrice di pvc, che aveva rappresentato la necessità di salvaguardare la filiera del cloro soda da Marghera fino agli stabilimenti isolani di Assemini (di proprietà della Syndial, disponibile alla cessione) e di Porto Torres. La multinazionale si impegnava per 60 milioni, ponendo come condizione fondamentale l’adozione di un decreto per abbattere i costi dell’energia e rendere così competitive le produzioni.
Dopo una lunga serie di tira e molla burocratici ed esasperata dal duro scontro con Comune di Venezia e Regione Veneto, alla fine Ineos  decise di mollare tutto e lasciare l’Italia. Subentrò Vinyls Italia, che ottenne anche da Endesa la possibilità di acquisire per gli impianti di Fiume Santo energia elettrica a prezzi scontati. Ma anche questo passo in avanti non fu decisivo. Infatti, né il Governo, né l’Eni fecero nulla per rendere più chiari i loro obiettivi. O meglio, il Governo continuò ad affermare, in ogni occasione che «la chimica è un settore strategico per il rilancio dell’economia italiana», mentre l’Eni mantenne l’assoluto silenzio, lavorando però in modo sotterraneo per impedire soluzioni alternative al suo progressivo disimpegno dal sito turritano.
Così, quando a Vinyls Italia è subentrato l’imprenditore veneto Fiorenzo Sartor,  è sorta un’infinità di problemi, a cominciare dai debiti pregressi per finire al prezzo del dicloroetano (materia prima per la produzione del pvc) fornito dall’Eni. Un prezzo troppo alto, a parere di Sartor, che ha deciso di portare i libri contabili in tribunale, per chiedere il fallimento della Vinyls.
Ma il Tribunale di Venezia, prima di assumere una decisione, ha ritenuto di dover approfondire la questione e ha appositamente nominato tre commissari giudiziali (gli avvocati veneziani Mauro Pizzigati e Giorgio Simeone e l’ingegnere chimico Francesco Appeddu, sardo, direttore dello stabilimento). Alla fine di luglio, i commissari hanno depositato le conclusioni: via libera all’amministrazione controllata per consentire il mantenimento dell’attività produttiva e individuare rapidamente una soluzione industriale per la continuità aziendale.
Nel frattempo, la Sardegna veniva sconvolta dallo tsunami provocato dall’annuncio dell’Eni di imminente chiusura temporanea (due mesi) dell’impianto del cracking di Porto Torres, che sembrava il preludio di una chiusura definitiva. Dopo settimane di forti tensioni politiche e sociali, e dopo una crescente mobilitazione unitaria delle forze politiche di maggioranza e di opposizione, delle amministrazioni locali, delle organizzazioni sindacali, della Chiesa sarda, la decisione dell’Eni è rientrata.
È accaduto a Roma, nel mese di luglio, a conclusione di una lunga riunione presieduta dal ministro Scajola, tra la Regione, rappresentata dal presidente Cappellacci, le organizzazioni sindacali, l’Eni e la Confindustria. L’accordo raggiunto prevedeva che, invece del temuto stop, si sarebbe proceduto a una manutenzione straordinaria degli impianti, senza che alcun operaio o tecnico andasse in cassa integrazione. Il tutto, in attesa che l’Eni definisse con la Regione e i sindacati un progetto di investimento e di rilancio dell’attività di Porto Torres e di Assemini.
Traguardo raggiunto il 19 ottobre, con la sottoscrizione di un accordo tra l’Ente e tutte le sigle nazionali e regionali di categoria (tranne la Filcem Cgil provinciale, che ha ritenuto il piano industriale presentato l’anticamera della dismissione dello stabilimento turritano). Un accordo, va detto, mal digerito e parecchio contestato.

Cosa prevede questo accordo? Innanzitutto, con 150 milioni saranno rimessi a nuovo i serbatoi di idrocarburi da 1 milione e 640 mila metri cubi. Conseguentemente, il traffico delle petroliere dovrebbe crescere di 600 unità all’anno, anche se i “difensori” dei depositi rimarcano che «il numero di navi sarebbe simile a quello registrato quando cumene e fenolo erano in marcia». Nel piano sono stati inseriti anche 530 milioni per le bonifiche e 101 milioni da spendere nelle manutenzioni degli impianti. Viene inoltre ribadita la centralità del cracking, il cuore pulsante dello stabilimento: l’etilene prodotto non sarà utilizzato solo nei settori interni, ma sarà immesso nella filiera della chimica isolana che comprende Assemini. Quanto ai posti di lavoro, nel prossimo quadriennio se ne perderanno una novantina: i tagli saranno perseguiti «attraverso l’esodo di risorse in possesso dei requisiti pensionistici o che li raggiungano attraverso l’istituto della mobilità».
Come detto, l’accordo è stato contestato dalla Cgil, che lo ritiene non valido perché «i 530 milioni per le bonifiche devono essere investiti per legge e i 150 per la logistica serviranno per stoccare idrocarburi non prodotti in Sardegna. Restano solo 101 milioni per le manutenzioni».
Il fronte della protesta è cresciuto rapidamente. Un no secco è arrivato dal sindaco di Porto Torres, Luciano Mura: «Il disegno è chiaro: Eni vuole abbandonare la chimica, progetto mai nascosto, e questi pseudo
Il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci
Il presidente della Regione
Sardegna, Ugo Cappellacci
investimenti ne sono la dimostrazione». Dopo Mura, un coro di voci contrarie: Alessandra Giudici, presidente della Provincia, il deputato Mauro Pili, Sardigna Natzione, i Riformatori sardi, Sinistra e Libertà, numerosi consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici.
E torniamo alla vertenza Vinyls, che alla fine di ottobre era ancora in alto mare. Per questo motivo, il 9 novembre, negli uffici romani del ministero delle Attività produttive, si sono ritrovati i Commissari di Vinyls e i vertici ministeriali per approfondire gli aspetti della strategia di rilancio dell’Azienda, che in Italia conta 470 dipendenti, di cui 137 a Porto Torres e i restanti a Priolo e Ravenna. Il nodo da sciogliere, sempre lo stesso: il prezzo delle forniture di dicloroetano offerto da Eni e necessario per far ripartire gli impianti. Ricordiamo: troppo alto, secondo i Commissari; allineato al mercato, secondo la multinazionale. Con la mediazione del ministero delle Attività produttive, che ha costantemente seguito la vicenda, alla fine le distanze si sono ridotte, fino alla sottoscrizione dell’accordo siglato il 12 novembre.
Per questo, è giunta inattesa (ma fino a un certo punto, visto il perenne clima di incertezza) la richiesta presentata dai commissari dell’azienda di avvio delle procedure di cassa integrazione per 101 dipendenti, su 132 in forza allo stabilimento di Porto Torres, nel quale ripartiranno due linee (su cinque) del pvc, mentre il Cvm resterà fermo. Il provvedimento è per trenta giorni, ma potrebbe essere esteso anche per un anno. La crisi di Vinyls coinvolge anche i petrolchimici di Marghera e Ravenna: in Veneto è prevista la cassa integrazione per 176 dei 230 lavoratori in organico; in Emilia Romagna tocca a 35 su 51.
In altre parole, Vinyls deve riaccendere i motori ma senza caricarsi troppo di costi: meglio attivare una cassa integrazione, evitando di pagare stipendi, e attendere che il mercato accolga l’offerta di pvc.  In ogni caso, oltre al successo delle vendite, dovranno verificarsi altre due condizioni. Prima di tutto, Vinyls – dopo l’accordo raggiunto con l’Eni – dovrà garantire il pagamento, per i prossimi tre mesi, delle forniture di dicloretano e degli altri servizi (energia, vapore, utilities). E per farlo i commissari dovranno aprire nuove linee di credito con le banche.
L’altro scoglio da superare è la cessione dell’azienda, obiettivo dichiarato dell’amministrazione straordinaria. I tre commissari giudiziali hanno avuto contatti con importanti operatori del settore. In pista, ci sarebbero Solvay, Arkema, Bertolini, un gruppo arabo e anche uno belga.

Ottana – Dagli anni ’70 ad oggi, in un drammatico crescendo di ristrutturazioni, dismissioni di attività, abbandoni veri e propri, cassa integrazione, mobilità e licenziamenti, il sogno industriale della media Valle del Tirso è via via svanito.
L’ultimo e unico sostegno alle poche attività industriali  ancora in esercizio nella piana di Ottana viene assicurato dalla centrale elettrica ceduta quattro anni fa da Aes al gruppo Clivati, che da allora si è fatto carico di garantire alle medesime la fornitura di energia elettrica tramite Ottana Energia.
Fra tutte, la più importante è senz’altro Equipolymers, produttrice di pet (plastica per bottiglie), 120 dipendenti e 110 milioni di euro fatturato nel 2008.
Un’azienda che, quasi di sorpresa, ha annunciato a settembre 2009 uno stop temporaneo degli impianti (tre, quattro settimane), creando allarme nei lavoratori e ingenerando dubbi sulle sue reali intenzioni: chiusura o vendita?
Ce n’è ben donde, per essere allarmati, in un’area industriale che sta letteralmente cadendo a pezzi. Basti pensare che negli ultimi due anni sono spariti oltre 600 posti di lavoro. Se si esclude Montefibre, che ha chiuso nel 2003 mandando a casa 250 lavoratori, sono una decina le imprese che hanno fermato impianti e cantieri: Legler, Cartonsarda, Nuoro Servizi, Ibs, Agrival, Plasteco, Master Sarda e via elencando. Un cimitero in cui Equipolymers rappresenta l’ultimo baluardo, che cadendo trascinerebbe nel baratro le poche imprese rimaste: Ottana Energia prima di tutte, ma anche Mini Town e Lorica Sud.
Altri 400 posti di lavoro che segnerebbero la fine di una provincia che vanta già il non invidiabile record di due milioni e mezzo di ore di cassa integrazione pagate nel 2008. E che non potrebbe reggere a un ulteriore collasso.
Ma il vero rischio è quello di un crollo a catena delle produzioni, con un effetto trascinamento che spazzerebbe via oltre tremila buste paga (il petrolchimico nell’isola). Se chiude il pet di Ottana, va in crisi anche l’impianto di Polimeri Europa a Sarroch, stabilimento che produce paraxilolo, materia prima per fare il pet. «Di certo – sottolinea Nicolino Pintus, segretario territoriale della Uilcem – l’addio di Equipolymers rappresenterebbe un colpo letale per Ottana Energia». La quale, inevitabilmente, per bocca dell’amministratore delegato Paolo Clivati, ha lanciato l’allarme: «Quanto sta avvenendo è gravissimo. Nessuna spiegazione appare plausibile, una fermata senza criterio che suona come una provocazione. Se Equipolymers dovesse chiudere il suo stabilimento, saremo costretti a seguire la stessa strada. Non potremo continuare a vendere energia senza il nostro maggiore cliente».
Una soluzione ci sarebbe, ed è quella che si è profilata negli ultimi mesi: l’acquisto di Equipolymers da parte di Ottana Energia. Non mancherebbero i vantaggi: si creerebbe, ad esempio, la sintesi tra produttore e consumatore, con un abbattimento dei costi energetici.
Fra settembre e ottobre, il Gruppo Clivati, con la thailandese Indorama, ha fatto pervenire ai vertici della Dow Chemical (la multinazionale americana a capo dello stabilimento nuorese assieme a Pic, del Kuwait) due offerte di acquisto, rimaste senza risposta. Anzi, respinte al mittente senza giustificazioni.
Un silenzio che sembrava confermare ciò che in molti temevano: nessun futuro per Equipolymers, anche se lo stabilimento avrebbe potuto restare aperto fino al 31 dicembre, forse per riscuotere l’ultima tranche dei 37 milioni dell’Accordo di programma sulla chimica.
Il ministro dellom Svilupo economico, Claudio Scajola
Il ministro dello Svilupo
economico, Claudio Scajola
Mentre il mondo politico e sindacale chiedeva una decisa azione del Governo nazionale per affrontare la vicenda e, più in generale, la questione della crisi industriale della Sardegna centrale, è giunta la notizia che la centrale elettrica e i servizi forniti da Ottana Energia non si sarebbero interrotti. Raccogliendo l’appello dell’assessore regionale dell’Industria, Andreina Farris, è stato lo stesso Paolo Clivati a garantire la prosecuzione della fornitura di energia elettrica indispensabile alle piccole imprese della valle del Tirso. Ottana Energia ha anche dato il via ai nuovi impianti Biopower, per la produzione di energia elettrica usando come combustibile l’olio di colza. Una scelta coraggiosa, che potrebbe rappresentare il primo passo verso la realizzazione del terzo polo energetico dell’Isola, basato su fonti alternative.
A fine ottobre, come programmato, Equipolymers ha ripreso la produzione di pet per bottiglie. Imprevisto e inaspettato, invece, il segnale mandato (tramite il consulente Ubaldo Livolsi , già advisor di Dow Chemical e già membro del Cda di Mediaset) per riaprire la trattativa di compravendita dello stabilimento. Dopo questa sollecitazione, Paolo Clivati è volato in Thailandia per definire con i vertici di Indorama il dettaglio della nuova offerta di acquisto (oltre 130 milioni di euro) e il piano industriale di rilancio dello stabilimento di Ottana.
Sostanzialmente, i motivi del contendere sono sempre stati essenzialmente tre: il portafoglio clienti di Equipolymers, che la multinazionale vorrebbe trasferire in blocco da Ottana alla sua fabbrica tedesca di Skopau; i circa cento milioni di debiti accumulati da Equipolymers negli ultimi anni per innovare gli impianti di Ottana; l’ultima tranche dei fondi dell’accordo di programma (13 milioni di euro) che lo Stato doveva ancora corrispondere e che bisognava stabilire se far arrivare alla vecchia o alla nuova proprietà, e con quali oneri accessori.
Abbiamo detto: doveva. Infatti, come un vero e proprio fulmine a ciel sereno, il 24 novembre è arrivata la notizia che il ministero dello Sviluppo economico, malgrado gli impegni assunti dal Governo a più riprese e nelle più svariate sedi («l’erogazione dei fondi sarà subordinata al mantenimento dell’attività produttiva»), quei 13 milioni li aveva già erogati a Equipolymers.
«A questo punto – è l’amaro commento di Paolo Clivati – non so nemmeno se andremo avanti con la nostra offerta. L’erogazione dell’ultima tranche di aiuti era l’unico strumento di pressione rimasto al Governo per costringere la multinazionale a trattare la vendita dello stabilimento. Incassato il bottino, faranno le valige e se ne andranno».
Che americani e kuwaitiani preferiscano chiudere anziché vendere è evidente: meglio uno stabilimento (realizzato con soldi pubblici) morto, piuttosto che vivo in mano a temibili concorrenti sul mercato europeo.
Unanime il coro di proteste che si è levato dal mondo sindacale, al quale si sono unite le voci di diversi consiglieri regionali. Paolo Maninchedda, del Psdaz, è stato durissimo: «Uno scandalo. Il Governo, che a settembre si era impegnato a congelare l’erogazione di quelle risorse, ha dato a Euipolymers un vero incentivo ad andarsene».

Un mopianto chimico nel sito industriale di Assemini-Macchiareddu
Impianto chimico nel sito industriale di Assemini-
Macchiareddu (Cagliari)
Assemini -
Dello stretto legame tra Equipolymers di Ottana e l’impianto di Polimeri Europa a Sarroch, stabilimento che produce paraxilolo, materia prima per fare il pet, abbiamo fatto cenno poco sopra. Così come della complementarietà tra Assemini e Porto Torres. Nella filiera della chimica, gli impianti si integrano totalmente: dal cracking di Porto Torres si produce etilene, che serve per produrre polietilene ed è quindi necessario alla catena del cloro (Assemini) e dei suoi derivati (pvc). Peraltro, senza le produzioni di Macchiareddu le fabbriche di Porto Torres (e Marghera) non possono andare avanti. Il cloro “buono” (in termini eco-compatibili) per le produzioni del Nord Sardegna e del Veneto è solo quello di Assemini: l’impianto di Marghera, infatti, era stato chiuso per incompatibilità ambientale, mentre quello del Friuli è fermo da tempo.
Fino a che gli impianti di Porto Torres sono rimasti aperti, Ineos ha comprato il cloro dalla Syndial-Eni di Assemini, che avrebbe dovuto inglobare (ma non l’ha fatto, vista la ritirata dalla Sardegna).
La società Bertolini Vinyls and Rubber spa, che ha presentato una manifestazione di interesse per gli impianti Vinyls Italia dello stabilimento turritano, ha formulato una proposta anche per Assemini. Una proposta che vede insieme appunto Bertolini e la Sirci Gresitex (produttrice umbra di tubi in pvc che fa capo alla famiglia Colaiacovo) e mira all’acquisizione degli impianti di Porto Marghera e di Assemini per avere la disponibilità di materia prima (il dicloretano).
L’idea a base della «proposta globale», a quanto è dato sapere, sarebbe quella di dar vita a una società chimica – magari con un marchio glorioso da rispolverare, come Montecatini – pronta ad acquisire gli impianti di Vynils (senza accollarsi i debiti) in amministrazione controllata. La manifestazione di interesse che vede protagonista il gruppo dell’imprenditore bolognese (distribuisce prodotti chimici come gomma per pneumatici ed è ben visto dall’Eni) dovrebbe arrivare a breve sul tavolo dei commissari.
Si è invece risolta positivamente la vicenda dello stabilimento Ineos Film, che a Macchiareddu produceva film di pvc per l’industria dell’imballaggio. I lavoratori si trovavano in cassa integrazione e gli impianti, fermati a causa della continua flessione della domanda, erano stati messi in vendita. «I mercati legati a questi prodotti – spiegava una nota dell’azienda – hanno vissuto negli ultimi anni un costante declino a causa della sostituzione degli imballi in pvc con materiali alternativi: un cambio strutturale che è stato accelerato dalla fase di recessione economica mondiale». A fine ottobre è arrivata la notizia dell’acquisizione dello stabilimento da parte dell’imprenditore cagliaritano Alberto Scanu.