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Editoriale
di Antonello Angius
Per la Sardegna un nuovo programma di sviluppo
di A.A.
Programma di sviluppo: strategie e obiettivi
di Graziella Pisu e Valentina Manca
Programmazione unitaria: una sfida per l’economia dell’isola
di Gherardo Gherardini
Un ruolo di prestigio nel bacino del Mediterraneo
di Franco Ventroni *
Una nuova strategia per lo sviluppo rurale
di F.V.
Il metodo Leader

 

Per la Sardegna un nuovo programma di sviluppo
di Antonello Angius

 

Il Programma regionale di sviluppo è il tassello centrale di un nuovo sistema di programmazione degli interventi regionali strettamente legato alla recente evoluzione del quadro normativo comunitario e nazionale. Il piano contiene una strategia per punti, un sistema di obiettivi collegati alla strategia e un corpo di progetti in attuazione degli obiettivi.

Veduta parziale dellòa centrale termoelettrica di Fiumesanto
Veduta parziale della centrale
termoelettrica di Fiumesanto
Il primo Programma regionale di sviluppo (Prs) della Regione Sardegna è in vigore da due anni, ma non sembra che l’importanza e la centralità di questo strumento siano di dominio comune, a giudicare dallo spazio e dall’attenzione ad esso riservati dai media e dal dibattito politico. Per certi versi non c’è da stupirsi: i meccanismi di programmazione dello sviluppo sono un po’ come le correnti sommerse del mare rispetto ai flutti di superficie della politica. Al di là della calma piatta o delle tempeste, le correnti sottomarine seguono il loro corso secondo disegni e regole specifiche, mentre chi nuota in superficie non ci pensa o non dispone delle informazioni necessarie.
Il programma regionale di sviluppo è il tassello centrale di un nuovo sistema regionale di programmazione degli interventi regionali introdotto nel 2006 (assessore della Programmazione Francesco Pigliaru), strettamente legato alla recente evoluzione del quadro normativo comunitario e nazionale. Se il Prs è un tassello centrale, per coglierne la funzione e il carattere innovativo bisogna unirlo ad altri tasselli, come nella composizione di un puzzle, in modo da giungere a una visione d’insieme che è poi quella della “policy” moderna degli interventi pubblici. Policy è un termine inglese sempre più usato anche in Italia, perchè indica la politica dei progetti che hanno obiettivi misurabili, distinguendola dalla politics, ovvero dalla politica delle organizzazioni di consenso e dei programmi di massima privi di componenti tecnico-progettuali. Due significati ben diversi di ciò che nella lingua italiana viene ricompreso indistintamente nel calderone della “politica”, con non poca confusione per i cittadini.
Quello del 2006 è il primo programma regionale di sviluppo della Regione a possedere le caratteristiche formali di tale strumento (a parte i pregressi programmi comunitari), in quanto contiene una strategia per punti, un sistema di obiettivi collegati alla strategia e un corpo di progetti in attuazione degli obiettivi, con il requisito di indicatori idonei a misurarne i risultati. Questo almeno è il quadro formale, anche se i requisiti metodologici non sempre sono stati rispettati: un fatto per certi versi fisiologico nella prima formulazione di uno strumento complesso come il Prs, come conferma l’esperienza di altre regioni.
Le strategie della Regione dichiarate nel Prs sono sette: Autogoverno e riforma dell’ente; Identità e cultura; Ambiente e territorio; Conoscenza; Sistemi produttivi e politiche del lavoro; Infrastrutture e reti di servizio; Solidarietà e coesione sociale.
Ogni capitolo sulle strategie è diviso in due parti: “Dove siamo” (cioè cosa abbiamo fatto) e “Il programma” (cosa vogliamo fare). Il Prs per sua natura è infatti uno strumento di legislatura, ma essendo stato istituito due anni dopo l’avvio della legislatura in questo caso rende conto anche della prima attività di governo. Le parti di programma contengono invece, in termini discorsivi, l’illustrazione degli obiettivi e dei principali progetti. L’esistenza dei progetti collegati è ciò che distingue questo Prs da un primo tentativo di “Piano generale di sviluppo” operato dalla Regione nel 1991: in quel caso, infatti, si trattò di un mero documento di indirizzi e strategie, privo di una strumentazione attuativa collegata. Il nuovo Prs dispone invece di un “Allegato tecnico” che contiene le schede omogenee dei progetti collegati, per ognuno dei quali si danno informazioni su contenuti, finanziamenti, responsabili, stato di attuazione, obiettivi e indicatori utili per la valutazione dei risultati: in totale circa 200 progetti suddivisi fra le sette strategie.
Il Prs non è peraltro uno strumento ingessato, perchè ogni anno attraverso il Dapef è possibile aggiornare contenuti e progetti (è una delle funzioni del Dapef secondo la l.r. 11/2006).
Come si collocano gli altri piani e programmi rispetto al Prs? Quest’ultimo è, nelle Regioni che lo adottano, la cornice strategica generale, per cui comprende o dovrebbe ricomprendere tutti i progetti dei diversi programmi redatti in base a specifiche fonti finanziarie comunitarie (Por) e nazionali  (come il Fas).
Movimentazione container nel porto canale di Cagliari
Movimentazione container nel porto canale di Cagliari
Dunque quella che ha preso forma alla Regione è una sequenza logica che parte dalle strategie di intervento per articolarle in obiettivi specifici a cui sono agganciati i progetti. Con le dovute differenze di ruolo, la logica di programmazione e gestione di un ente come la Regione è oggi sempre più simile a quella di una moderna azienda, così come sono simili le tecniche e le terminologie adottate. La Regione infatti, come un’azienda, deve anzitutto focalizzarsi sulla propria mission, che è quella di fornire regole comuni di rilievo regionale (norme), servizi pubblici allo sviluppo e funzioni di rappresentanza della comunità. Non sono servizi di mercato, eppure hanno un carattere estremamente competitivo, perché, come hanno insegnato gli economisti “istituzionalisti”  (i Nobel Ronald Coase e Douglass C. North sono i nomi più noti), lo sviluppo economico è favorito da regole (culturali, giuridiche, di mercato) idonee a garantire la sicurezza e l’economicità degli scambi, regole su cui le organizzazioni pubbliche giocano un ruolo fondamentale di controllo, garanzia e revisione, oltre a favorire le attività di mercato e la conseguente occupazione con specifici progetti. Ecco perché la competizione fra i mercati è anche competizione fra istituzioni (costituite, nel senso economico che dà al termine North, da norme, regole e culture locali) e fra organizzazioni pubbliche di regolazione  e supporto come le Regioni.
A partire dalla propria mission dunque la Regione, come una qualsiasi grande azienda, si dota di una strategia generale fondata su alcuni punti chiave, dai quali fa derivare “ad albero” un sistema di obiettivi e azioni progettuali.
Per completare il puzzle manca ancora una cosa: il sistema dei controlli. Controlli sulla efficienza (gestione) e sui risultati (efficacia, o controllo strategico). Nella sua moderna accezione, un programma regionale di sviluppo, per non essere zoppo, deve infatti inserirsi nel puzzle completo di questi elementi. Purtroppo non è ancora così, perchè la riforma della programmazione in Sardegna è ancora giovane (L.R. 11 del 2006) e incompleta sotto il profilo dei controlli. In questo l’isola non è tra le prime della classe (Toscana e Lombardia sono state tra le prime Regioni ad accumulare esperienza con moderni programmi di sviluppo) ma neppure fra le ultime, considerato che gli strumenti di programmazione e controllo sono ancora carenti e incompleti in numerose regioni, sopratutto del Meridione.
Alcune importanti riforme nazionali, principalmente negli anni ’90, hanno disegnato le tessere del puzzle che stiamo descrivendo, ovvero l’ossatura funzionale e organizzativa di una moderna amministrazione regionale. Si tratta di regole che qualsiasi programma strategico di sviluppo regionale deve incorporare, vediamole perciò per punti.

Separazione dei poteri fra gli organi di governo, che hanno compiti di indirizzo politico e controllo, e le strutture dirigenziali cui spettano i compiti di gestione. È il principio sancito sin dal 1993 dal decreto legislativo 29, che implica la presenza, nei ministeri e nelle Regioni, di un vero e proprio management, che è pubblico ma con un rapporto di lavoro privatizzato, dotato di autonomia decisionale e responsabilità di scelta. Il primo check up di qualsiasi amministrazione regionale consiste pertanto nel rispondere alla domanda: possiedo una dirigenza equiparabile a un management, per capacità e autonomia? I politici si limitano alle funzioni di legge di indirizzo e controllo, o intervengono anche sulla gestione (contratti, gare, attuazione dei progetti) menomando o trasformando le funzioni della dirigenza-management?

Decentramento, da conseguirsi con il conferimento  di funzioni e competenze dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali, secondo i criteri di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Sono i principi della riforma Bassanini (oggi consulente per la riforma della Pubblica Amministrazione francese nell’era Sarkozy). Le organizzazioni della PA hanno missioni comuni ma su scale territoriali diverse, e devono quindi fare sistema secondo i principi di sussidiarietà verticale (per cui ogni funzione o servizio deve essere posto al livello territoriale più basso possibile a parità di efficienza e utilità collettiva) e sussidiarietà orizzontale (per cui le PA non deve assumere competenze che possono essere lasciate efficientemente al mercato privato). Altrettanto importanti sono i due principi della differenziazione dei livelli di governo, per distribuire le competenze secondo le diverse scale territoriali e demografiche interessate, e della adeguatezza, riferita alla presenza di strutture e personale idonei ai compiti da svolgere. Secondo check up: il sistema della PA regionale (Regione, Provincie, Autonomie locali) risponde a tali requisiti in termini sostanziali?

Coerenza del bilancio con le strategie. La classificazione di un bilancio regionale non deve seguire regole astratte e burocratiche, ma rispecchiare la missione e gli obiettivi dell’ente. La legge 94/97 (per lo Stato) e il D. Lgs 76/2000 (per le Regioni) hanno introdotto dei criteri comuni che prevedono la classificazione del bilancio per: funzioni obiettivo (le funzioni necessarie a conseguire gli obiettivi); unità previsionali di base (le ripartizioni di risorse finanziarie per gruppi omogenei di interventi) e capitoli (le unità elementari di spesa ai fini della gestione e della rendicontazione). Il problema comune a diverse Regioni, compresa la Sardegna, è che non sempre le modalità di applicazione di tale classificazione rispondono, come richiedono la legge e la logica, alla reale conformazione delle strategie (ovvero al Prs), ma discendono piuttosto da classificazioni burocratiche pregresse basate sulle strutture (Assessorati) anziché sugli obiettivi e le funzioni necessarie per conseguirli. Anche il Rendiconto generale delle Regioni (che corrisponde al bilancio di una azienda) spesso necessita di reinquadramenti e modalità di presentazione dei dati (particolarmente sulla capacità di spesa) che esprimano i risultati dell’ente rispetto agli obiettivi che si è dato.

Sistema dei controlli. Qualsiasi programma e progetto resta aleatorio senza strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività. Il D. Lgs. n. 286/1999 ha segnato una svolta in questo campo, con la definizione di quattro tipologie di controlli: controllo di regolarità amministrativa e contabile; controllo di gestione; valutazione del personale dirigente; controllo strategico. 

A quasi dieci anni di distanza, bisogna dire che nella PA il primo tipo di controllo è in genere presente; il secondo tipo è spesso presente sulla carta ma non funzionante o efficace, come accade per il controllo del personale dirigente; mentre il controllo strategico è il più carente. Comprensibilmente, è proprio il controllo strategico ciò che più interessa un programma regionale di sviluppo, in quanto ne costituisce sostanzialmente la valutazione di efficacia. Anche in questo caso, le tecniche più moderne sono mutuate dal mondo delle imprese. In particolare va citata la “Balanced Score Card”, un metodo di controllo strategico aziendale sviluppato da Kaplan e Norton negli anni ’90 e poi applicato anche alla PA, che verte su quattro aspetti: i risultati economico-finanziari, il gradimento del consumatore (il cittadino, nel caso della PA), i processi interni ottimali per conseguire i risultati e infine l’aspetto della innovazione e apprendimento continui, con il miglioramento delle competenze e delle forme organizzative. Regioni come l’Emilia Romagna (e alcune Asl della stessa area) applicano già queste moderne tecniche di controllo strategico, mentre in Sardegna esse sono all’orizzonte, ma non ancora adottate.
Occorre infine ricordare che in altri Paesi, sopratutto in ambito anglosassone, esistono importanti e prestigiosi organismi esterni indipendenti (pur finanziati dalla PA) che valutano l’efficacia dei programmi pubblici: un aspetto, questo della valutazione esterna indipendente, che non fa parte purtroppo della cultura politica italiana, e che è stato introdotto in termini perentori solo con alcuni programmi comunitari per iniziativa della Commissione Europea, con l’obbligo di reclutare su bando pubblico valutatori indipendenti.
Ora che abbiamo composto le principali tessere del mosaico traiamo le conclusioni. L’importanza del Programma regionale di sviluppo appare evidente: le sue strategie sono come le travi maestre di un tetto. In una azienda e in una amministrazione pubblica che non pensino semplicemente di replicare se stesse, tutto si regge sulla adozione di un programma strategico, che è la risposta collettiva a una serie di domande cruciali: cosa vogliamo essere, dove vogliamo arrivare, con quali risultati nell’istruzione, nella cultura, nel reddito, nell’occupazione, nell’assetto territoriale, e con quali metodi e formule organizzative. Visto il genere di risposte che deve fornire, il programma strategico non è, o non dovrebbe essere, il parto di una o di poche menti a tavolino, ma il risultato di un ampio lavoro politico, tecnico e di consultazione sociale opportunamente coordinati.
Inoltre il programma strategico resta “disarmato”, per usare un termine di Giorgio Ruffolo (economista al quale si deve la prima organizzazione di un ufficio di programmazione al ministero del Bilancio, nei primi anni ’60 su incarico di La Malfa) se non si affiancano le altre tessere del mosaico: un sistema territoriale di enti locali ben organizzato e con competenze correttamente distribuite, un buon management pubblico al quale garantire i livelli di autonomia previsti dalle norme, un sistema dei controlli che ricomprenda l’analisi di coerenza e di efficacia strategica anche con il ricorso a valutatori indipendenti. Diciamo che le tessere del mosaico sono note internazionalmente, ma nelle diverse Regioni non sono tutte funzionanti e collocate al posto giusto: per la definizione e attuazione delle strategie di sviluppo ogni Regione d’Europa, infatti, segue inevitabilmente i percorsi e i tempi che le sono consentiti dalla maturità della cultura politica locale, dalla qualità dell’informazione dei media e dalle conoscenze e sensibilità dei cittadini.

Foto: Gloria Calvi (foto1); Sardegna industriale (foto home page e foto 2)