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Editoriale
Giancarlo Bussetti
Una nuova strategia per la portualità turistica
Unione nazionale cantieri e industrie nautiche
Per il Mezzogiorno una proposta degli imprenditori
Sergio Stagno
Una struttura comune per il rilancio del settore
Sergio Piras
Argos: un sistema per i porti in rete

 

Per il Mezzogiorno una proposta degli imprenditori
Unione nazionale cantieri e industrie nautiche

 

 Il tema della ricerca di un modello per lo sviluppo della portualità turistica nel Mezzogiorno è stato affrontato recentemente dall’Ucina (Unione nazionale Cantieri e Industrie nautiche ed affini) in uno studio destinato a chiarire le possibilità di intervento nel settore. Il documento, di cui proponiamo una sintesi, parte dalla considerazione che la pianificazione dei porti turistici dovrebbe essere effettuata con una strategia diversa da quella seguita sinora.

Veduta parziale di Marina di Porto Cervo Il tema della portualità turistica è sempre stato considerato strategico da parte dell’Ucina, in quanto l’arretratezza del nostro paese in questo campo rappresenta il maggior vincolo allo sviluppo del turismo nautico e di conseguenza dell’intero settore del diporto. Oggi la situazione appare suscettibile di un cambiamento, come conseguenza del clima di maggiore attenzione per i problemi del settore nautico che si è creato sia a livello governativo, sia nell’ambito delle amministrazioni locali.

Il riconoscimento dei benefici economici che possono derivare dallo sviluppo della nautica nel nostro paese è avvenuto mentre è in atto il tentativo da parte del governo di rilanciare una politica finalizzata allo sviluppo economico del Mezzogiorno. Ciò rende di estrema attualità l’idea un piano organico per la creazione di una rete di porti turistici lungo le coste delle regioni meridionali.

Si deve sottolineare come già in passato non siano mancati i tentativi di intervento della mano pubblica nel settore della portualità turistica. Questi purtroppo si sono generalmente tradotti nel finanziamento di opere portuali concepite senza una chiara visione strategica da parte dei promotori. Sintomatico da questo punto di vista è l’operato della Regione Sardegna, che nel corso degli ultimi vent’anni ha erogato finanziamenti a fondo perduto corrispondenti a oltre 600 miliardi di lire di oggi per la realizzazione di porti turistici, senza riuscire a innescare un reale processo di sviluppo. Il caso Sardegna dovrebbe dimostrare nel modo più convincente l’esigenza di un diverso approccio da parte di tutte le amministrazioni interessate, per evitare che i fondi eventualmente messi a disposizione dalle Regioni, dallo Stato o dall’Unione europea vengano dispersi in iniziative prive di risultati concreti.

È quindi essenziale che un piano di intervento per la portualità turistica del Mezzogiorno trovi modo di far realmente fruttare tutte le risorse che saranno necessarie per la sua realizzazione. È convincimento dell’Ucina che ciò sarà possibile soltanto modificando sostanzialmente il modo in cui il tema della pianificazione dei porti turistici è stato visto fino ad oggi.

Con il presente documento, l’Ucina intende presentare alle Autorità e alle amministrazioni competenti le riflessioni degli operatori del settore nautico ad essa associati sulla natura dei problemi da affrontare nella definizione di un piano e sui possibili modi per risolverli al meglio. La proposta dell’Ucina prende lo spunto dall’osservazione che il tema della pianificazione dei porti turistici nel Mezzogiorno dovrebbe essere affrontato in un’ottica diversa da come è stato fatto in passato, inquadrando in modo più puntuale le esigenze specifiche del settore nautico. In particolare:

– Sembra da rivedere la teoria che vorrebbe una catena di porti distribuiti a intervalli di 20-30 miglia lungo tutto lo sviluppo costiero del Mezzogiorno. Questo tipo di infrastrutturazione potrebbe essere limitato alle zone ad alto potenziale turistico, dove converrebbe concentrare gli investimenti per creare dei veri e propri “bacini di vacanze”. I tratti di collegamento potrebbero, almeno a breve e medio termine, disporre solo di punti di scalo a distanze maggiori. Ciò non dovrebbe rappresentare un reale inconveniente, se si pensa che già oggi gran numero di diportisti compie tappe di 80-100 miglia per raggiungere la Sardegna e la Corsica dal litorale tirrenico, o la Croazia partendo dai porti dell’Adriatico.

– Non si dovrebbe parlare di un’indiscriminata necessità di realizzare porti di grande dimensione per ragioni di ordine economico, senza entrare nel merito delle funzioni di ogni porto. Se un porto stanziale deve effettivamente poter distribuire i suoi servizi su un numero rilevante di clienti, un semplice punto di scalo da utilizzare prevalentemente su base stagionale non presenta lo stesso problema.

– Non ci si deve illudere che i porti turistici generino con la loro sola presenza una domanda di posti barca. Ciò può essere vero nelle aree a maggiore domanda potenziale e solo a patto di offrirli a costi molto contenuti. Su buona parte dei litorali meridionali la creazione di una domanda adeguata rappresenta uno dei principali problemi da affrontare.

– Ovviamente le esigenze della clientela e la sua disponibilità a spendere variano enormemente a seconda della tipologia di imbarcazioni che impiega. La ricerca di una clientela qualificata non può essere limitata ai residenti nell’area meridionale, ma implicherà un notevole sforzo promozionale e commerciale, esteso all’intero mercato europeo.

– Un settore da studiare con particolare attenzione è quello del noleggio, che in altri paesi ha raggiunto uno sviluppo ben maggiore e che può contribuire notevolmente all’allungamento della stagione turistica.

– Per quanto riguarda gli aspetti economici, non appare realistico pensare che il futuro sistema di porti turistici del Sud possa essere realizzato prevalentemente con mezzi privati. Le tariffe portuali infatti dovranno restare molto contenute: la clientela locale ha infatti una scarsa capacità di spesa, mentre per quella proveniente da lontano, quella estera in particolare, si dovrà tener conto della concorrenza dei paesi vicini come Croazia, Grecia, Spagna e Tunisia.

– Ciò tuttavia non deve far dubitare dell’interesse di un progetto di sviluppo nautico. È stato infatti dimostrato che gli effetti occupazionali di una presenza nautica qualificata può essere valutata in un posto di lavoro ogni 4-6 imbarcazioni. La parte prevalente degli effetti riguardano però l’indotto e non sono monetizzabili da parte dei gestori dei porti. L’intero programma deve quindi essere sostenuto da sostanziali contributi a fondo perduto, quanto meno per la realizzazione delle principali opere infrastrutturali.

Uno schema di piano che possa portare dei risultati concreti deve tener conto di tutti gli elementi qui elencati. È inoltre raccomandabile che esso si muova nell’ambito della normativa vigente, escludendo ogni significativa innovazione legislativa che potrebbe portare a ritardi poco prevedibili.

A parere dell’Ucina ciò può essere ottenuto procedendo nel modo qui di seguito schematizzato:

L'approdo turistico di Portoscuso– Per quanto riguarda le infrastrutture, il sistema portuale da realizzare non deve avere una struttura lineare, con una sequenza di porti distribuiti uniformemente sui litorali meridionali. Deve invece essere strutturato per sistemi locali, concentrati sui tratti a maggior valenza turistica, che abbiano una dimensione sufficiente a coprire interi bacini di vacanze. Tenendo conto delle tendenze in atto nella normativa, che prevede una crescente delega alle Regioni per la gestione del demanio marittimo, è ragionevole ipotizzare dei sistemi su scala regionale. Ciò permetterebbe una realizzazione per fasi successive, iniziando dalle aree più adatte a uno sviluppo delle attività nautiche.

– Nell’ambito di ciascun sistema, dovrà essere chiara la distinzione tra porti prevalentemente stanziali e porti di transito di minore dimensione. Si potrà così evitare sia un sovradimensionamento del sistema, sia un inutile appesantimento delle infrastrutture destinate a un impiego prevalentemente stagionale.

– In termini di priorità, appaiono favorite: la Campania, per il suo enorme potenziale turistico, abbinato alla sua povertà di strutture nautiche; la Sicilia, che dispone di un numero rilevantissimo di porti minori convertibili al diporto con costi contenuti; la Sardegna, dove la Regione ha da tempo avviato la costruzione di numerosi porti turistici che non hanno tuttavia trovato un loro assetto gestionale soddisfacente.

– Per quanto riguarda la struttura istituzionale e organizzativa di tutto il “sistema Mezzogiorno”, sembra essenziale un’applicazione generalizzata di quel “principio di sussidiarietà” che informa la legislazione europea. Ciò significa che per ragioni di flessibilità e di agilità operativa, tutte le funzioni da svolgere dovranno essere delegate al più basso dei tre livelli previsti (nazionale, regionale e locale) che sia in grado di svolgerle in modo compatibile con l’efficienza del sistema.

– Al livello nazionale sarà sufficiente accentrare la definizione delle linee generali del piano, l’identificazione e l’acquisizione dei diversi canali possibili di finanziamento pubblico, la definizione degli standard di progettazione e di servizio, la scelta delle priorità tra i diversi sistemi regionali. Si ritiene che l’Osservatorio della Nautica recentemente istituito dal ministero dei Trasporti costituisca la sede privilegiata per la messa a punto di una strategia di settore, con la raccomandazione che al suo interno sia assicurata una presenza del Coordinamento delle Regioni a tutela degli interessi della periferia e dell’Ucina per portare il contributo degli operatori del settore. I compiti di natura operativa relativi all’avvio della realizzazione del piano potrebbero essere svolti da Sviluppo Italia, già oggi presente nell’Osservatorio.

– Al livello regionale si dovrà sviluppare lo schema della rete irifrastrutturale di ogni sistema in accordo con i piani della portualità turistica che le regioni sono tenute a predisporre. Si dovrà altresi verificare la validità dei progetti proposti per l’inserimento nei sistemi sia dal punto di vista tecnico che da quello economico. In fase di realizzazione delle opere si dovrà fornire assistenza alle singole iniziative per il disbrigo delle pratiche autorizzative, utilizzando al massimo lo strumento delle conferenze di servizi. In fase di gestione, dovrà essere attuata al livello regionale l’attività promozionale e commerciale, dato che singoli porti non sarebbero in grado di attuare un’efficace politica di sviluppo e di penetrazione sul mercato internazionale.

– Per quanto riguarda il tipo di soggetto a cui affidare le funzioni da esplicare su scala regionale, appare indispensabile una struttura di natura privatistica, il cui controllo rimanga in sede locale. Appare raccomandabile che gli interessi delle Regioni siano salvaguardati attraverso una partecipazione di maggioranza delle finanziarie regionali piuttosto che di una partecipazione diretta delle Regioni, anche se a questo riguardo appare essenziale una verifica con le amministrazioni regionali interessate. La salvaguardia degli interessi generali e l’armonizzazione dei diversi sistemi locali potranno essere ottenute con una presenza azionaria di Sviluppo Italia, che appare come soggetto privilegiato per la guida dell’intero progetto.

– L’accentramento a scala regionale dell’attività commerciale non implica affatto una centralizzazione a livello di sistema delle iniziative per la realizzazione e la gestione dei singoli porti. L’Ucina propone invece l’adozione di un rapporto di franchising tra delle società commerciali operanti su scala regionale e gestori dei singoli porti. Si ritiene infatti che il tipo di soggetto operante in ciascun porto (società private, miste, cooperative, gestioni dirette comunali) non abbia alcuna rilevanza ai fini del funzionamento del sistema, a patto che da parte di tutti i porti ci si attenga al rispetto degli standard di sistema e ci si inserisca nella politica commerciale comune.

– La sola prescrizione da porre a carico delle iniziative locali, è quella di assicurare in ogni caso una parte del finanziamento delle opere, in modo da responsabilizzarle sulla validità dei loro progetti. La quota di finanziamento da lasciare a carico degli operatori locali dovrà tener conto delle specifiche situazioni, andando da una quota consistente del totale nei casi più favorevoli, fino a ridursi alla sola copertura dei costi per sovrastrutture e impianti dove le condizioni appaiano più difficili.

  Si è già sottolineato come nella maggior parte del Mezzogiorno sia impossibile recuperare i costi di costruzione dei porti turistici, quando la loro realizzazione non sia abbinata a consistenti operazioni immobiliari, spesso discutibili dal punto di vista ambientale.

Tuttavia l’interesse di un piano di sviluppo della portualità turistica è stato dimostrato in termini economici, dato che gli effetti occupazionali derivanti dalla presenza di una flotta residente possono arrivare a un posto di lavoro ogni 4-6 imbarcazioni. Considerando che il costo medio di un posto barca in un porto di nuova costruzione non arriva in condizioni normali a costare più di una cinquantina di milioni, si deve concludere che il costo unitario dei posti di lavoro creati da un porto turistico non va al di là di 200-250 milioni, ben al di sotto delle cifre in gioco in altri settori dell’economia.

Nel caso dei porti prevalentemente di transito la situazione è meno favorevole, in quanto oggi la durata della piena utilizzazione non supera i 40-50 giorni all’anno. Le condizioni climatiche del Mezzogiorno fanno tuttavia ritenere che in presenza di una rete efficiente di porti turistici, lo sviluppo del noleggio e la presenza di diportisti esteri meno legati alla vacanza d’agosto dovrebbero portare il periodo di piena attività almeno a cento giorni/anno. In questa situazione, gli effetti occupazionali di un porto di transito tenderebbero ad avvicinarsi a quelli di un porto stanziale.

Nel calcolo degli investimenti necessari per la realizzazione dei nuovi sistemi portuali si deve tener conto della disponibilità, diversa da caso a caso ma complessivamente significativa, degli spazi portuali già disponibili che possono essere convertiti al diporto con spesa limitata, nell’ordine di 10 milioni per posto barca.

L’interesse di un’iniziativa del tipo qui delineato nell’ambito di una politica di rilancio economico del Mezzogiorno risulta evidente. Il punto critico di un progetto di questo genere è tuttavia quello dei suoi plausibili tempi di realizzazione, inevitabilmente lunghi se si pensa all’esigenza di integrare le infrastrutture esistenti con porti turistici da costruire ex-novo.

Dal momento della decisione di procedere, si valuta che possa occorrere almeno un anno per la costituzione della struttura operante a livello nazionale e delle prime strutture regionali e quindi per la progettazione generale del sistema complessivo. Dopo di ciò, l’avvio delle iniziative per la realizzazione dei singoli porti, la progettazione degli interventi infrastrutturali e l’espletamento delle pratiche autorizzative e concessorie, anche ipotizzando un sistematico ricorso alla conferenza di servizi, ben difficilmente potrebbero essere completati in meno di due anni. Aggiungendo i tempi tecnici di esecuzione dei lavori si arriva inevitabilmente a un tempo totale di almeno cinque anni per l’avviamento dei primi sistemi regionali in forma compiuta.

Si deve però sottolineare che in almeno due casi l’attività potrebbe essere iniziata in tempi nettamente più brevi: infatti nelle due isole maggiori la disponibilità di infrastrutture utilizzabili a breve termine è tale da permettere almeno una funzionalità ridotta degli eventuali sistemi regionali nell’arco di non più di due anni.

Nel caso della Sicilia esistono infatti, nell’ambito dei porti minori, spazi sufficienti per la predisposizione di un numero rilevante di posti barca. La mancanza di qualche base nautica di grande dimensione non dovrebbe impedire uno sviluppo consistente dell’attività stagionale e soprattutto del noleggio nautico, come premessa per l’insediamento di una flotta residente di grande entità.

La Sardegna invece dispone già di una rilevante dotazione di porti turistici, anche al di fuori del polo della costa di nord-est, che potrebbe essere valorizzata già nell’immediato a patto di risolvere il problema di una gestione integrata, del tipo del resto già proposto alla passata Giunta regionale.