Bimestrale di informazione economica

 
Home page
Presentazione

Arretrati e abbonamenti

E-mail

Archivio

Riviste
Argomenti
Ricerca semplice
Ricerca avanzata
News

Sommario


Editoriale
Giancarlo Bussetti
Una nuova strategia per la portualità turistica
Unione nazionale cantieri e industrie nautiche
Per il Mezzogiorno una proposta degli imprenditori
Sergio Stagno
Una struttura comune per il rilancio del settore
Sergio Piras
Argos: un sistema per i porti in rete

 

Una nuova strategia per la portualità turistica
Giancarlo Bussetti

 

Ormeggio per natanti da diporto a Cala Gavetta, nell'isola di La Maddalena
Ormeggio per natanti da diporto a Cala Gavetta, nell'isola di La Maddalena
Cinque anni fa «Sardegna industriale» mi aveva sollecitato a preparare una nota sul tema dei porti turistici della Sardegna da pubblicare sulla rivista. Quel testo, inizialmente pensato come un semplice esame dei risultati ottenuti dagli interventi regionali nel settore, finì per assumere un carattere ben più generale, arrivando ad abbozzare le linee di una strategia innovativa per lo sviluppo della nautica in Sardegna.

In quel documento si sottolineava come la dispersione dei fondi disponibili tra un numero eccessivo di iniziative avesse pesantemente condizionato l’efficienza dell’intervento regionale; si osservava però che il completamento di un numero anche rilevante di porti non avrebbe di per sé portato ad un decollo del turismo nautico nell’isola, in assenza di un’adeguata politica commerciale. A questo fine si segnalava la necessità di una qualche forma di aggregazione di tutti i porti interessati che permettesse di presentare al mercato un vero e proprio “sistema portuale”.

Un precedente significativo veniva identificato nel complesso dei marina dell’Adriatic Club Yugoslavia, che negli anni Ottanta aveva coperto l’intero litorale della Dalmazia e che con una gestione unitaria aveva ottenuto risultati estremamente brillanti. Si sottolineava però che la realizzazione di un sistema portuale a scala regionale, in un contesto come quello della Sardegna, non avrebbe potuto basarsi su una gestione totalmente centralizzata. Di qui era nata l’idea di un sistema da gestire in franchising, in cui fosse centralizzata solo l’attività promozionale e commerciale, lasciando ai singoli porti la più ampia libertà per quanto riguarda l’organizzazione delle strutture gestionali.

L’articolo del ’95 aveva innescato un ampio dibattito, che due anni dopo aveva portato la Regione ad avviare uno studio approfondito sul tema della portualità turistica, con la costituzione di un gruppo di lavoro del quale ho fatto parte come consulente esterno.

Per tutta una serie di ragioni il lavoro non arrivò ad una conclusione formale, ma permise tuttavia di approfondire i temi che erano stati affrontati nell’articolo del 1995. In particolare i contatti con amministratori locali e operatori privati permisero di confermare la validità delle tesi centrali sostenute nell’articolo stesso: l’importanza del problema commerciale, l’esigenza di affrontarlo in un’ottica unificata e la necessità di una diversa politica degli investimenti, da concentrare sui porti suscettibili di essere completati a breve termine.

Nell’estate dello scorso anno «Sardegna industriale» mi ha dato l’occasione di raccogliere le principali risultanze dello studio in un secondo articolo, che viene qui di seguito riproposto, insieme a una serie di contributi e di valutazioni qualificate, in questo numero monografico.

Anche se nel frattempo sono emerse ragionevoli perplessità sulla formula dell’Agenzia regionale, per quanto riguarda la composizione della sua compagine azionaria che prevedeva una presenza maggioritaria della Regione, la proposta di base sembra mantenere tutta la sua validità.

A conferma di questa affermazione, si può ricordare che il Piano regionale del turismo, presentato nell’aprile dello scorso anno, in tema di turismo nautico riprendeva testualmente le parti più significative dei documenti predisposti nell’ambito del precedente “Progetto per il completamento, l’integrazione e la coordinata gestione del sistema regionale dei porti turistici”, sposando in pieno le tesi enunciate già nell’articolo del 1995 di «Sardegna industriale».

Marina dell'Orso, nell'incantevole insenatura di Poltu Quatu
Marina dell'Orso, nell'incantevole insenatura di Poltu
Quatu
Il tema della ricerca di un modello per lo sviluppo della portualità turistica in zone lontane dai principali bacini di utenza è stato ripreso recentemente dall’Ucina (Unione nazionale Cantieri e Industrie nautiche ed affini), in uno studio destinato a chiarire la possibilità di intervento esteso all’intero Mezzogiorno che è stato presentato all’ultimo Salone nautico di Genova. In tale documento, si propone uno schema istituzionale e organizzativo che prevede di operare per sistemi portuali a scala regionale, dotati di ampia autonomia e strutturati proprio secondo le linee indicate nel progetto Sardegna, con i singoli porti legati a strutture commerciali comuni da un rapporto di franchising. Anche l’inquadramento dei problemi commerciali del documento Ucina riprende le tesi sostenute nel progetto Sardegna: l’insufficienza della clientela locale per quantità e per capacità di spesa, l’esigenza di puntare molto sulla clientela estera, l’esigenza di contributi a fondo perduto per la realizzazione delle principali opere, giustificabili con l’importanza degli effetti economici indotti.

In altre parole, le linee del piano di intervento proposte per la Sardegna e riepilogate nell’articolo qui presentato sono state giudicate sufficientemente valide da parte della principale associazione di categoria del settore nautico, per essere assunte a modello per un piano di intervento esteso all’insieme del Mezzogiorno. Si deve quindi sperare che con la nuova Giunta regionale il tema di un sistema portuale organico per la nautica venga rimesso all’ordine del giorno, superando il vecchio principio dei finanziamenti a pioggia dispersi in una molteplicità di interventi infrastrutturali spesso privi di ogni seguito operativo.

                                                                 °°°

Dai primi anni Novanta ad oggi, si deve prendere atto del fatto che a livello nazionale si è creato un clima più favorevole alla nautica, anche per effetto delle iniziative ministeriali in tema di normativa sui porti turistici che dovrebbero facilitare l’avvio di nuove iniziative.

Su scala locale però, la situazione non ha avuto grandi cambiamenti, con i lavori sui porti regionali che hanno proseguito secondo il consueto sistema del finanziamento a pioggia tipico del periodo precedente, senza che si sia manifestato alcun tentativo di razionalizzazione dell’intervento regionale. L’esigenza di un mutamento di rotta sembra quindi sempre più pressante, accrescendo di conseguenza l’interesse di una verifica della validità delle soluzioni prospettate quattro anni fa.

Quando, nel 1995, si è tentata la prima analisi della situazione della portualità turistica dell’isola, è subito apparso chiaro che la Sardegna rappresenta un caso a sé tra le regioni del Mezzogiorno, per un duplice ordine di ragioni:

– da molto tempo infatti, almeno le coste settentrionali dell’isola sono a pieno titolo inserite, insieme alla vicina Corsica e all’Arcipelago toscano, in uno dei più frequentati circuiti di vacanze nautiche del Mediterraneo;

– inoltre, a partire dall’inizio degli anni ’80 la Regione ha dedicato al settore della portualità turistica mezzi finanziari importanti, con un impegno che appare unico tra tutte le regioni litoranee.

L'approdo turistico di Porto Oro, a Golfo Aranci
L'approdo turistico di Porto Oro, a Golfo Aranci
Questi elementi avrebbero potuto sembrare sufficienti per l’avvio di un processo di sviluppo che si estendesse all’insieme delle coste sarde: tuttavia è stato sufficiente un esame della situazione in atto sulla parte del litorale non compresa nel breve tratto privilegiato della costa nord-orientale per evidenziare come tale processo, al momento della stesura del documento, non si fosse affatto avviato.

Le ragioni del mancato sviluppo sono state certamente molteplici, ma tra i fattori che più hanno influito in senso negativo si possono sicuramente indicare la dispersione degli investimenti tra troppi porti, una eccessiva durata dei tempi di costruzione e una sottovalutazione dei problemi di ordine commerciale.

Gli effetti negativi della dispersione degli investimenti erano stati già sottolineati nel documento del 1995, che evidenziava l’irrazionalità di una distribuzione a pioggia dei fondi tra 26 diverse iniziative durante un periodo di oltre 15 anni. Si può notare che durante il periodo studiato, in ciascun anno i finanziamenti sono stati mediamente distribuiti tra almeno 7-8 iniziative diverse, con contributi a ciascuna del tutto insufficienti per la realizzazione di infrastrutture complete

Questa politica aveva trovato la sua giustificazione nel primo piano di settore per la portualità turistica, approvato con la delibera n. 35/24 dell’11 agosto 1983, che individuava ben 32 localizzazioni per porti turistici di primo livello, oltre a una fitta rete di infrastrutture minori.

Eppure considerando le dimensioni geografiche dell’isola, si sarebbe dovuto prevedere che un programma basato su parecchie decine di interventi sarebbe risultato tecnicamente ridondante, oltre che inutilmente oneroso per le finanze regionali. In effetti proprio il gran numero delle localizzazioni candidate per la realizzazione dei nuovi porti, insieme alla difficoltà di identificare una ragionevole scala di priorità, hanno portato a una dispersione dei fondi messi a disposizione dalla Regione in troppe iniziative parallele, con risultati complessivamente deludenti se si tiene conto dell’importanza dei mezzi impiegati.

Nell’articolo si ricordava come nel periodo che va dal 1982 al 1993 la Regione Sardegna avesse investito importi molto rilevanti, per circa 350 miliardi, nella costruzione di porti turistici: cifra che appariva ancora più consistente traducendola in lire 1995 per tener conto degli effetti dell’inflazione, arrivando a un totale superiore ai 500 miliardi.

A fronte di questi investimenti ci si sarebbe dovuti aspettare di trovare almeno una dozzina di porti perfettamente funzionanti, mentre i risultati effettivi apparivano ben diversi, con un numero limitato di realizzazioni portate a buon fine, ed uno ancora minore di porti effettivamente in esercizio.

Era quindi corretto sostenere che la sproporzione tra i mezzi impegnati e i risultati ottenuti, rappresentava in sostanza l’inevitabile conseguenza del modo in cui si era sviluppato l’intervento regionale, condizionato dalle pressioni delle amministrazioni locali e dalla mancanza di una chiara percezione della natura del problema da risolvere. In mancanza di un piano realistico, che chiarisse gli obiettivi da raggiungere e le priorità da rispettare, i porti turistici sono stati spesso visti come semplice occasione per assegnare dei lavori, da avviare in funzione delle disponibilità del bilancio regionale.

A questo si era aggiunta la mancanza di un disegno di insieme che definisse correttamente le caratteristiche di ciascuna opera in funzione della sua plausibile destinazione, con la conseguenza di avallare in molti casi scelte tecniche più costose del necessario: in taluni casi, porti destinati dalla loro localizzazione a una semplice funzione di scali di transito stagionali, sono così stati progettati a somiglianza dei porti delle maggiori località turistiche, che sono invece destinati a ospitare stabilmente delle flotte importanti.

Veduta dall'alto di Marina di Porto Cervo
Veduta dall'alto di Marina di Porto Cervo
Tutto questo ha fatto sì che la maggioranza dei porti regionali sia rimasta incompiuta per troppo tempo; ma il completamento dei primi di loro ha messo in evidenza un ulteriore grave problema di natura organizzativo-gestionale, relativo alla loro entrata in esercizio. L’articolo pubblicato nel ’95 evidenziava però come il problema da risolvere fosse piuttosto di natura commerciale, sviluppando un’articolata analisi delle difficoltà che si incontrano, quando si tenti di far decollare un processo di sviluppo nautico in zone lontane dai maggiori centri demografici ed economici del continente.

Secondo le tesi del documento del 95, la difficoltà di creare delle strutture gestionali efficienti nei porti della Sardegna deve essere vista come conseguenza della difficoltà di acquisire una clientela adeguata, tanto sotto il profilo qualitativo che quantitativo. Questa affermazione contrasta con la credenza, comune anche tra gli addetti ai lavori, che la creazione di nuovi posti barca crei di per sé una domanda corrispondente: essa tuttavia ha ricevuto una totale conferma negli approfondimenti successivamente effettuati a tale riguardo.

È stato forse l’aspetto più significativo del vecchio articolo, quello di sottolineare che un piano regionale di settore per la portualità turistica non dovrebbe limitarsi a proporre un elenco di investimenti razionalmente distri­bui­ti sul territorio, ma dovrebbe invece definire una politica promozionale e commerciale capace di far realmente decollare l’insieme dei porti turistici regionali.

È chiaro però che ciò risulterà possibile, solo quando sia stata chiarita la natura del mercato in cui si deve operare e dopo che si sia creata un’orga­niz­zazione capace di agire su tale mer­cato.

In altre parole, non è possibile delineare una strategia vincente senza aver correttamente individuato le precise funzioni di un porto turistico, nonché le caratteristiche e le aspettative dell’utenza da servire; inoltre qualunque strategia, per quanto correttamente impostata, rischia di rimanere sulla carta quando non sia messa in atto con strumenti adeguati. Si tratta di cose solo apparentemente ovvie, sulle quali può essere utile qualche ulteriore riflessione.

 

Le funzioni dei porti turistici

 Nella definizione di un piano di settore, è essenziale distinguere tra le due funzioni base dei porti turistici, che possono essere utilizzati dal naviglio da diporto come punti di scalo in crociera, oppure come punti di ricovero durante la cattiva stagione. La corretta definizione di un sistema portuale destinato a coprire il litorale di un’intera regione, richiede che per ogni possibile localizzazione sia chiarita l’attitudine a svolgere ciascuna delle due funzioni.

Il porto turistico come punto di scalo. La possibilità di un porto di operare come punto di scalo dipende ovviamente dal suo inserimento in un “itinerario nautico” attrezzato, che per quanto possibile permetta ai diportisti di percorrere un tratto di costa interessante in comode tappe giornaliere.

Condizione essenziale perché un porto abbia una buona utilizzazione di tipo stagionale, è dunque il suo inserimento in una vera e propria catena di approdi, collocati a distanze di non più di 25-30 miglia su un tratto di costa di interesse tale da giustificare una crociera. Al contrario, un porto isolato lungo una costa non attrezzata, ben difficilmente può diventare meta di una crociera anche se situato in una località di grande richiamo.

Le considerazioni ora svolte non si applicano evidentemente ai natanti che arrivano nelle zone di vacanza a rimorchio delle auto dei turisti, per essere destinati a un uso semplicemente balneare. In questo caso la condizione per il funzionamento di un porto non è più l’inserimento in una catena di approdi, ma semplicemente la localizzazione in un centro turistico importante, capace di per sé di attirare un flusso turistico significativo e soprattutto facilmente raggiungibile su strada. Si tratta comunque di un impiego dei porti relativamente marginale, che nel caso della Sardegna si scontra con i problemi del collegamento estivo con il continente.

La corretta copertura dei litorali è considerata il criterio base da seguire nella pianificazione della portualità turistica, seguito anche nei precedenti tentativi di definire un piano regionale per la Sardegna. Tuttavia si direbbe che a questo riguardo fino ad oggi si sia perpetuato un equivoco: si è infatti ritenuto che assicurare la navigabilità dell’intero periplo dell’isola fosse condizione sufficiente per attivare un processo di sviluppo simile a quelli in atto sulla costa del Continente, dalla Costa Azzurra alla Liguria e alla Toscana.

A questo riguardo non si è tenuto conto del fatto che lo sviluppo della portualità continentale è stato dovuto non tanto al movimento estivo, quanto piuttosto all’insediamento di grandi flotte stabilmente presenti, generatrici di attività lungo l’intero arco dell’anno.

Uno scorcio di Porto Rotondo, con la Club house
Uno scorcio di Porto Rotondo, con la Club house
Il porto turistico come base logistica.
Molto spesso questa seconda funzione dei porti turistici viene sottovalutata anche in sedi qualificate. Persino in Liguria, nella fase di avvio dei lavori per il Piano regionale di coordinamento della Costa, si è sentita contestare l’utilità dei cosiddetti porti garage, visti come improduttivi elementi di disturbo paesaggistico. È invece indispensabile riconoscere che proprio la presenza delle imbarcazioni per la maggior parte dell’anno è causa delle maggiori ricadute economiche, sia per le esigenze della loro manutenzione, sia per la frequenza delle visite dei proprietari anche in bassa stagione. Gli studi della Camera di commercio di Nizza, che hanno valutato gli effetti di occupazione diretta ed indotta di un porto turistico in un posto di lavoro ogni tre-quattro imbarcazioni, devono essere considerati validi soltanto nel caso di porti di armamento, dotati di una flotta permanentemente presente di imbarcazioni qualificate.

Queste precisazioni sono essenziali: senza la presenza di una flotta residente vengono a mancare tutte le attività artigianali che ruotano attorno alla manutenzione delle imbarcazioni; con una flotta locale prevalentemente costituita da piccoli natanti, il budget complessivo con cui essi sono gestiti risulta talmente contenuto da non contribuire significativamente allo sviluppo delle attività dell’indotto.

 

Un identikit dell’utenza nautica 

Stando così le cose, risulta evidente l’importanza di attirare nei porti del futuro sistema regionale una clientela stabile; la nautica da diporto rappresenta però un mondo estremamente differenziato, dove i valori in gioco vanno dai pochi milioni di un gommone o di una lancetta, ai molti miliardi di una nave da diporto di 25-30 metri.

Le motivazioni che stanno alla base della scelta di un porto di armamento sono evidentemente condizionate dal tipo di imbarcazione che un utente ha a disposizione. Va da sé che al crescere del valore del mezzo corrisponda una maggiore capacità di spesa del proprietario e una maggiore possibilità di spostamento, tanto da permettere una classificazione dell’utenza in tre fasce significative a seconda del mezzo normalmente utilizzato per raggiungere il porto. Questa classificazione, per quanto apparentemente scherzosa, si rivela preziosa ai fini di una corretta pianificazione di settore.

L’utenza da bicicletta o da motorino.È rappresentata dai proprietari di natanti di scarso impegno, da gestire in economia e da tenere a poca distanza da casa. La sua presenza nei porti è condizionata dalla disponibilità di ormeggi a basso costo e la sua residenza si trova usualmente a breve distanza dal porto, tanto da giustificare la definizione proposta.

Questa classe di utenti è di scarso peso da un punto di vista economico, anche se, a scanso di equivoci, occorre riconoscere il significato sociale che la diffusione della nautica minima può avere per la qualità della vita delle popolazioni litoranee. Si tratta però di un fenomeno che può essere favorito, solo quando ciò sia ottenibile senza oneri sproporzionati per la finanza pubblica e quando ciò non metta a repentaglio la possibilità di assicurare una corretta gestione dei singoli scali.

A questo riguardo sembra esemplare la vicenda di Portoscuso, dove l’operatore che si è dato carico della gestione del porto si è trovato di fronte a persone che, sulla base di presunti diritti acquisiti, pensavano di poter disporre degli ormeggi da loro occupati a titolo gratuito.

L’utenza da automobile.L’esperienza dei porti continentali ha dimostrato che la maggior parte dei proprietari delle imbarcazioni medie e grandi (dagli 8-10 metri in su) non risiede nei centri litoranei in prossimità dei porti, ma piuttosto in un entroterra che si estende fino a 200-250 chilometri di distanza.

Il maggior impegno economico di queste unità fa sì che la clientela di un porto debba essere ricercata in un’area più vasta; nello stesso tempo la maggiore dimensione di queste imbarcazioni garantisce loro un’abitabilità che le rende utilizzabili come seconde case e come destinazione per gite di fine settimana.

Cagliari: il porticciolo di Marina Piccola
Cagliari: il porticciolo di Marina Piccola
La maggiore capacità di spesa degli utenti di questo tipo, li rende interessanti non solo in un’ottica strettamente portuale (in quanto capaci di accettare costi portuali anche sostenuti), ma anche da un punto di vista più generale, per il contributo che possono dare all’attività turistica della località di insediamento del porto. Già molti anni fa, uno studio dell’Unioncamere della Liguria aveva dimostrato come le località liguri fornite di un porticciolo avessero una distribuzione delle presenze turistiche molto più distribuita nell’arco dell’anno, anche nei periodi di bassa stagione, rispetto a quelle che ne fossero sprovviste.

La fortuna dei porti della Liguria e della Costa Azzurra è costituita dall’avere alle spalle, entro una distanza compatibile con degli spostamenti di fine settimana, oltre 20 milioni di persone, con un reddito medio tra i più alti d’Europa. Nel caso delle regioni periferiche e insulari, questo tipo di clientela diventa più difficilmente acquisibile, costringendo i porti turistici ad ampliare l’area in cui essi devono cercare clienti, necessariamente appartenenti alla terza fascia, qui di seguito descritta.

L’utenza da aeroplano.Mano a mano che si sale la scala delle disponibilità economiche, la scelta del porto di armamento tende a svincolarsi dall’esigenza della raggiungibilità a basso costo e quindi dalla collocazione entro un raggio di 200-250 chilometri. A questo livello, l’imbarcazione non rappresenta più una conquista meritevole di monopolizzare il tempo libero del proprietario, ma solo un mezzo da impiegare in taluni periodi di vacanza e da affidare per il resto del tempo alle cure di qualche professionista.

La percentuale dei diportisti che rientra in questa fascia è ovviamente molto ridotta, ma l’area di attrazione di un porto efficiente può raggiungere una dimensione continentale. Da qualche tempo infatti, tra i diportisti del Centro e Nord Europa sta prendendo piede la tendenza a lasciare un’imbarcazione stabilmente in Mediterraneo, spostandola eventualmente da un anno all’altro in nuovi bacini di vacanze. In molti casi si tratta di unità di dimensione contenuta, considerate come accessori di residenze estive, ma spesso si tratta invece di unità impegnative, che anche nei periodi di disarmo rappresentano una fonte di reddito importante per il porto che le ospita.

Questa fascia di utenti rappresenta la clientela naturale dei porti delle regioni periferiche e insulari, come dimostrano i casi delle Baleari, della Corsica, di Malta o della Grecia. In Sardegna, gli “utenti da aeroplano” si concentrano oggi nei porti privati della costa nord-occidentale, mentre appare del tutto logico l’obiettivo di aumentarne la presenza, portandoli a utilizzare anche i porti regionali mano a mano che essi entrano in servizio.

L’esame di quanto è successo nelle varie zone ora ricordate, fa però notare che la ricerca di una clientela su scala europea ha seguito vie diverse, rispettivamente nelle Baleari, in Corsica, in Grecia e in Turchia, o sulle coste della ex-Jugoslavia. Un’analisi dei diversi modelli di sviluppo adottati in questi paesi sembra essenziale per definire le linee di un piano regionale per la portualità turistica.

 

I modelli di sviluppo nautico nel Mediterraneo

Baleari. L’isola di Mallorca dispone oggi di oltre 10 mila posti barca, effettivamente utilizzati nonostante i condizionamenti dovuti all’insularità. Mallorca potrebbe quindi sembrare un esempio da imitare, date le analogie tra le situazioni ambientali delle Baleari e della Sardegna.

Un esame più attento evidenzia però che il “modello Mallorca” ha però avuto anche aspetti negativi, che rendono sconsigliabile una sua imitazione. La realizzazione dei porti turistici è infatti andata di pari passo con un’urbanizzazione incontrollata del litorale, che in molti casi ha finito per perdere buona parte dei suoi pregi ambientali. I porti cioè sono stati visti quasi sempre come semplici appendici di discutibili operazioni immobiliari di grande dimensione, con i posti barca proposti in abbinamento alle residenze secondarie.

La quasi totalità della capacità ricettiva si trova infatti sui versanti meridionale e orientale dell’isola, dove si è addensato lo sviluppo immobiliare, mentre sulla costa nord-occidentale mancano quasi completamente i punti di rifugio. È anche interessante notare che la dimensione media dei porti, non appena ci si allontana da Palma, risulta molto contenuta, attorno ai 300 posti barca: i porti cioè, sono stati realizzati in corrispondenza di tutti i maggiori complessi turistici, limitandone la capacità alle esigenze della clientela di ciascuno di essi.

Ciò non significa che nelle Baleari non siano presenti imbarcazioni di maggiore impegno: ma gli armatori delle imbarcazioni più importanti, di impiego non legato alla disponibilità di alloggi a terra, hanno preferito in generale cercare una sistemazione a portata di aeroporto nelle basi nautiche di Palma, che rappresentano un caso a parte rispetto al resto dell’isola.

Corsica. Il “modello Mallorca”, con la nautica al seguito dell’urbanizzazione selvaggia del litorale, non è fortunatamente il solo a cui si possa fare riferimento: particolarmente istruttivo risulta l’esame di cosa è accaduto in Corsica, e non soltanto a causa della prossimità geografica con la Sardegna.

A differenza di quanto è accaduto a Mallorca, in Corsica i porti turistici sono stati realizzati con obiettivi forse più modesti, ma certamente più rispettosi dell’ambiente costiero. In Corsica solo 13 località sono state fornite di infrastrutture portuali al servizio della nautica, per un totale di circa 6 mila posti barca. I singoli porti sono però stati collocati in modo da permettere di effettuare il periplo dell’isola in tappe giornaliere alla portata di un’imbarcazione a vela: la distanza media tra due punti successivi di scalo, solo in alcuni casi arriva alle 30 miglia.

L’infrastrutturazione del litorale è stata cioè mantenuta ad un livello sufficiente a garantire la navigabilità del litorale, ma senza quella moltiplicazione degli interventi che trova una giustificazione solo se associata a operazioni immobiliari di tipo intensivo.

I porti della Corsica sono stati concepiti in funzione di una domanda permanente limitata e di un’attività prevalentemente stagionale, favorita dalle distanze relativamente ridotte che separano l’isola da Toscana, Liguria e Costa Azzurra. La mancanza di uno sviluppo immobiliare intensivo ha infatti impedito il radicamento in Corsica di un numero consistente di diportisti continentali, tanto che il numero di imbarcazioni di diportisti francesi o italiani ormeggiate stabilmente nei porti corsi non dovrebbe ancora oggi superare le mille unità.

Da notare che questo accade nonostante che le tariffe dei porti della Corsica incentivino notevolmente la clientela stabile: mentre sulla costa continentale francese il noleggio annuale di un posto barca ha normalmente un costo pari a 80-100 volte quello di un transito giornaliero, in Corsica lo stesso noleggio annuale costa soltanto l’equivalente di una cinquantina di giornate di transito.

Queste osservazioni portano a ritenere che l’acquisizione di una clientela stabile proveniente dal continente non si presenta agevole quando si conti soltanto sull’apprestamento delle necessarie infrastrutture portuali e senza il supporto del settore immobiliare. D’altro canto l’acquisizione di una clientela stabile prevalentemente continentale rappresenta una condizione essenziale per ricavare dalla portualità turistica della Sardegna un risultato significativo in termini di occupazione e reddito: si deve quindi concludere che neppure la Corsica rappresenta un riferimento soddisfacente.

Grecia e Turchia. Nell’ambito del Mediterraneo, il bacino dell’Egeo rappresenta un caso a parte per le caratteristiche che vi ha assunto lo sviluppo della nautica. Le caratteristiche climatiche e morfologiche delle coste greche e turche risultano particolarmente adatte alla navigazione da diporto, mentre la posizione decentrata rispetto ai maggiori centri metropolitani europei ha reso difficile l’acquisizione di una clientela stabile di provenienza internazionale.

Per quanto riguarda la Grecia poi, le difficoltà sono state acuite da una normativa che accentra nelle mani delle strutture ministeriali la responsabilità anche gestionale dei porti turistici, con il risultato di impedire l’avvio di ogni iniziativa.

La capacità ricettiva dei porti dei due paesi è rimasta quindi relativamente contenuta, ma la sua utilizzazione risulta particolarmente intensiva a causa dello sviluppo preso dalle attività di noleggio. Le favorevoli condizioni di navigazione hanno infatti portato i maggiori operatori mondiali del settore a concentrare nell’Egeo le maggiori flotte da noleggio del Mediterraneo, per un totale di oltre 2 mila imbarcazioni.

L’attività di charter ha quindi assunto una dimensione economica cospicua, evidenziando come essa possa arrivare, in condizioni favorevoli, a rappresentare una componente importante del settore nautico. I casi delle Baleari e della Corsica stanno però a indicare che il Mediterraneo nord-occidentale non garantisce condizioni operative simili a quelle dell’Egeo, rendendo difficile una duplicazione delle esperienze greche e turche. Ancora una volta, non si è in presenza di una ricetta che possa da sola garantire il successo di un piano di sviluppo per la Sardegna.

Ex-Jugoslavia. Per quanto possa apparire strano, l’esempio più brillante di politica di sviluppo nautico va ricercato in un “paese del socialismo reale”. Già nel documento del 1995 si è spesso fatto riferimento al caso del sistema portuale per la nautica realizzato nell’ex-Jugoslavia a metà degli anni ’80, che rappresenta fino ad oggi l’unico esempio di progetto unitario per la valorizzazione di un intero bacino di vacanze.

Il sistema dell’Adriatic Club Yugoslavia (diventato oggi Yacht Club Croazia) ha iniziato la sua attività nel 1984 con 14 porti, oggi diventati 21, gestiti in maniera unitaria da un gruppo di Fiume appoggiato da capitali esteri. È facile capire la capacità di attrazione sui diportisti interessati al bacino adriatico, di un messaggio come questo, citato dal materiale pubblicitario del sistema: «... essendo il titolare di un contratto annuale (con l’Acy) in uno dei nostri marina della Dalmazia, siete a casa in tutti i marina della Dalmazia, potete fare le crociere o lasciare la vostra barca in qualsiasi di questi marina per quanto volete gratuitamente!».

La strategia commerciale seguita dall’Acy si è quindi basata sull’offerta di un servizio qualificato e omogeneo lungo l’intero litorale croato, che propone in campo nautico un equivalente dello skipass utilizzato dai maggiori centri di sport invernali.

È da sottolineare che la stessa organizzazione dell’Acy si è data carico di avviare, nella zona di insediamento dei suoi marina, un’attività intensiva di noleggio di imbarcazioni, considerata come parte integrante del piano di sviluppo. Da parte dei responsabili si è infatti ritenuto che il noleggio fosse il mezzo più efficace per attirare i diportisti lungo le coste della Dalmazia, senza le remore che sarebbero derivate dalla necessità di lasciare la propria imbarcazione in mani poco conosciute. In questo modo essi avrebbero constatato di persona il buon funzionamento dei porti del sistema, che si sarebbero quindi potuti proporre con ben altra forza come possibili porti di armamento.

Questa strategia, appoggiata da una politica di prezzi contenuti, ha avuto un pieno successo, che solo le vicissitudini della guerra civile hanno messo a repentaglio. Oggi tuttavia il periodo critico appare superato e il sistema funziona nuovamente a pieno regime, avendo riacquisito una clientela costituita da diverse migliaia di diportisti, specie austriaci e tedeschi.

Gli elementi che sono stati alla base di un successo rimarchevole sono ben noti e dovrebbero essere in buona parte trasferibili:

– un’iniziativa di dimensioni sufficienti a giustificare una campagna promozionale su scala europea e una chiara visione delle esigenze della clientela internazionale;

– un sistema di porti gestito in modo integrato e articolato a due livelli, con un numero limitato di infrastrutture importanti concentrate nei centri maggiori e una catena di punti di scalo stagionali distribuiti in modo da rendere fruibile un intero bacino di vacanze;

– uno sviluppo intensivo del charter, come strumento per portare ad un allungamento della stagione turistica.

Senza pensare a un puro e semplice trasferimento del modello jugoslavo, improponibile nel nostro contesto socioeconomico, si deve ritenere che le sue linee guida possano fornire lo spunto per un progetto da attuare su scala regionale, con l’ambizione che esso si possa configurare come un progetto pilota suscettibile di essere ripreso in altre regioni del Mezzogiorno.

 

Un modello di sviluppo nautico per la Sardegna

Il nuovo approdo turistico di Portoscuso
Il nuovo porto turistico di Portoscuso
Le considerazioni fin qui sviluppate rappresentano solo un approfondimento dei temi già affrontati preliminarmente nel 1995, che è stato reso possibile dal lavoro svolto, nel corso del 1997 e 1998, nell’ambito di un gruppo di lavoro della Regione che avrebbe dovuto curare la stesura di un nuovo piano di settore per la portualità turistica. Le indagini svolte nell’ambito di tale lavoro hanno permesso di confermare la validità, almeno nelle loro linee generali, delle tesi enunciate nel 1995 a riguardo dell’assetto da dare al sistema regionale dei porti turistici.

Questa affermazione può trovare un sostegno nelle risultanze emerse nel corso del lavoro qui menzionato, che possono essere riepilogate nel modo che segue.

Disponibilità attuale di posti barca in Sardegna. Il censimento contenuto nell’ultima edizione delle Pagine Azzurre, corretto in base alle risultanze di sopralluoghi e conoscenze dirette, porta a una disponibilità totale per la Sardegna di circa 12 mila posti barca. Se alla capacità dei porti già operanti (inclusi quelli privati della costa nord-orientale) si aggiunge quella dei porti in avanzato stato di costruzione, la capacità totale raggiunge i 14 mila posti barca, risultando ben superiore alla domanda attuale di ormeggi da occupare stabilmente, nonché a quella che si manifesterebbe spontaneamente a breve termine in assenza di uno specifico sforzo promozionale.

Per valutare l’importanza di questa dotazione, basta considerare che essa corrisponde grossolanamente a quella della Liguria, su cui gravita un retroterra di almeno una quindicina di milioni di abitanti dal reddito medio molto elevato.

Distribuzione geografica della capacità a disposizione. La capacità dei porti privati si è sviluppata secondo quello che è stato definito il “modello Baleari”, andando cioè al seguito delle operazioni immobiliari concentrate su un tratto limitato della costa di nord-est, senza interessare i rimanenti tratti di costa.

Per quanto riguarda i porti pubblici, è mancata una chiara visione delle priorità, tanto che a tutt’oggi essi risultano carenti:

– sia come basi logistiche da disporre nei grandi centri, dato che mancano delle strutture efficienti e di buona dimensione in vicinanza degli aeroporti di Olbia, Alghero e Cagliari;

– sia come copertura delle coste per soddisfare le esigenze di navigabilità, in quanto risultano mal servite le relazioni nord-sud tanto sul versante orientale che su quello occidentale.

Un pontile di Marina di Porto Cervo
Un pontile di Marina di Porto Cervo
Valutazione della domanda di posti barca.
Alla data non è stato possibile arrivare a un censimento affidabile delle imbarcazioni stabilmente presenti nei porti sardi, anche se appare attendibile una valutazione attorno alle 6-7 mila unità, a cui occorre aggiungere un numero imprecisato di piccoli natanti poco significativi.

Le indagini degli ultimi due anni sono state finalizzate a definire uno scenario di lungo termine, in un’ottica decennale, nel quale la domanda di posti barca sia suddivisa in gruppi omogenei. I risultati ottenuti sono riportati nella tabella a centro pagina.

Si è cioè valutato che nell’arco di un decennio si possa arrivare a un raddoppio della domanda di ormeggi da occupare stabilmente, rispetto al livello effettivo di oggi. Più difficile prevedere un possibile andamento della richiesta di ormeggi per il transito estivo: comunque con una valutazione prudenziale di questo tipo di domanda, il totale di 17 mila posti barca alla fine di un decennio appare del tutto credibile.

Alla cifra qui indicata si potrebbero aggiungere le esigenze di carattere sociale, per natanti di piccola dimensione di proprietà di residenti e per la pesca, che teoricamente potrebbero giustificare una capacità complessiva nell’isola attorno ai 20 mila posti barca alla fine del periodo esaminato.

A questo riguardo occorre però far seguire qualche precisazione:

– Nell’ambito temporale che può interessare un piano operativo, da concentrare nell’arco di pochi anni, il potenziale di crescita della domanda su cui dimensionare la capacità addizionale sarà evidentemente più contenuto;

– occorre poi ricordare che i contributi economici ottenibili dalle unità più piccole, specie se di proprietà di residenti, sono molto contenuti e difficilmente possono rappresentare una giustificazione per importanti investimenti pubblici.

Un sovradimensionamento del sistema, se finalizzato a incrementare i posti barca di minima dimensione destinati all’utenza “da bicicletta”, risulterebbe quindi difficilmente giustificabile da un punto di vista economico. Un’ampia disponibilità di natanti da destinare alla balneazione e alla piccola pesca può infatti influire positivamente sulla qualità della vita della popolazione locale, ma avrebbe ben pochi effetti in termini di creazione di reddito.

Sembra invece ragionevole porre come obiettivo primario del piano di sviluppo della portualità turistica, quello di attirare una clientela esterna suscettibile di generare un incremento netto del reddito locale, migliorando la “bilancia commerciale” dell’isola.

Il piccolo approdo di Porto Raphael
Il piccolo approdo di Porto Raphael
Il problema più importante da risolvere non è dunque tanto quello di un massiccio incremento quantitativo dell’offerta, quanto quello di una sua riqualificazione e specializzazione, da attuare a tempi brevi. Il calcolo del fabbisogno di ormeggi da prevedere a dieci anni data, può servire alla formazione di uno scenario di riferimento di larga massima, ma non certamente a fornire indicazione degli investimenti da effettuare con priorità.

Identificazione dell’orizzonte temporale significativo. La grave situazione di crisi in cui versa l’economia dell’isola e l’importanza dei fondi destinati dalla Regione ai porti turistici, rendono essenziale un tentativo di render produttivi a tempi brevi gli investimenti già effettuati, indipendentemente dalla completezza dell’insieme dei porti a disposizione. Il problema concreto è quindi quello di delineare un assetto del sistema regionale che possa essere reso operativo nell’arco di poche stagioni, utilizzando le previsioni di lungo termine solo come guida per indirizzare gli investimenti infrastrutturali ancora da effettuare.

Questo fa ritenere che nell’immediato siano da privilegiare gli interventi su impiantistica e servizi dei porti già forniti delle principali componenti infrastrutturali, indipendentemente dall’incompletezza della copertura dei litorali dell’isola.

Se poi si ammette la validità dell’analisi qui riepilogata sulla natura della domanda di posti barca e sull’esigenza di un grosso sforzo promozionale per attirare l’utenza “da aeroplano”, sembra essenziale che il futuro piano preveda la costituzione a tempi brevi di una struttura centrale di coordinamento che sia in grado di preparare quadri e strumenti per il lancio sul mercato del futuro sistema.

Localizzazione e tipologia dei futuri interventi regionali. Le tesi che sono state spesso sostenute a livello tecnico, a riguardo del dimensionamento del sistema dei porti turistici della Sardegna possono essere così riassunte:

– i diportisti devono essere in grado di effettuare il periplo dell’isola in condizioni di sicurezza. Ciò è possibile solo disponendo una catena di porti a distanza di non oltre 20-25 miglia dall’uno all’altro;

– le dimensioni dei porti devono essere consistenti, possibilmente nell’ordine degli 800-1.000 posti barca, per garantire la redditività della loro gestione.

Stimando in circa 450 miglia la circumnavigazione dell’isola, in base a questi assunti occorrerebbe portare a compimento un programma imponente, per almeno una ventina di porti di grande dimensione.

Alla luce delle considerazioni svolte ai punti precedenti, appare evidente l’improprietà di una simile impostazione. Infatti la grande dimensione si giustifica solo quando si abbia la ragionevole aspettativa di commercializzare tutti i posti barca con contratti a lungo termine e a prezzi remunerativi: per molti dei porti sardi, chiamati a svolgere un’attività prevalentemente stagionale e realizzati con fondi pubblici, la grande dimensione rappresenta solo un inutile incremento dei costi di costruzione senza contropartite positive.

Si può ricordare che tanto nelle Baleari quanto in Corsica la dimensione dei porti si colloca normalmente tra i 300 e i 450 posti, ad eccezione di quelli di Palma e di Ajaccio, posti in corrispondenza degli aeroporti e quindi più accessibili per gli utenti continentali.

Pontili per natanti da diporto nel porto commerciale di Arbatax
Pontili per natanti da diporto nel porto commerciale
 di Arbatax
Nel caso della Sardegna, è essenziale mantenere una netta distinzione tra i porti maggiori, destinati a un ruolo di basi logistiche, e i punti di scalo da distribuire sulla costa al servizio del movimento estivo. Anche da questo punto di vista l’esempio jugoslavo fa testo, con una parte dei porti specificamente disegnati per una funzione stagionale di transito e con le grandi basi permanenti concentrate nei maggiori centri a Zara, a Sebenico, a Spalato e a Dubrovnik.

Per quanto riguarda invece la copertura dell’intero periplo dell’isola, si deve osservare che essa deve certo rappresentare un obiettivo di lungo termine, ma non costituisce affatto una condizione indispensabile per avviare un sistema portuale pienamente efficiente. In concreto, la funzionalità del sistema (e quindi il suo lancio commerciale) potrebbe essere assicurata anche prima di aver completato l’infrastrutturazione della costa occidentale che appare oggettivamente più difficile e onerosa.

È il caso di ricordare che fino a non molti anni fa, la presenza in Corsica di alcuni tratti scoperti di rilevante lunghezza non ha affatto frenato lo sviluppo del turismo nautico: sulla costa di levante, la tratta da Campoloro a Porto Vecchio, prima della costruzione di Solenzara era di oltre 45 miglia, mentre a ponente sulle quasi 60 miglia che vanno da Calvi ad Ajaccio era disponibile solo il ridosso naturale della Girolata.

Possibile ruolo del noleggio nautico. In queste note si è sottolineato il ruolo che il settore del charter ha ricoperto nel lancio e nello sviluppo del sistema portuale dell’Acy, lungo le coste della Dalmazia. Nel caso della Sardegna si è ritenuto che si potrebbe ripetere la stessa esperienza, con lo stesso duplice obiettivo:

– le flotte di charter per necessità di bilancio devono operare per periodi ben maggiori dei consueti 40 giorni che caratterizzano la migrazione stagionale dal continente delle barche private; lo sviluppo del charter contribuirebbe quindi all’allungamento del pe­rio­do di attività stagionale, essenziale per i conti economici dei gestori dei porti minori;

– l’attività delle flotte da noleggio porterebbe nei porti del Sistema una clientela costituita almeno in parte da diportisti suscettibili di trasformarsi successivamente in utenti stabili.

Occorre dire che i contatti preliminari avviati durante lo scorso anno inducono a cautela per quanto riguarda le possibilità di sviluppo del settore. I grandi operatori internazionali appaiono infatti più interessati alle aree dell’Egeo o addirittura ai Caraibi, più che al Mediterraneo nord-occidentale, per ragioni di durata della stagione di lavoro.

Si è però chiarito che tale indirizzo è influenzato dalla necessità di ammortizzare imbarcazioni integralmente finanziate dagli operatori stessi: sarebbe perciò da approfondire il dialogo con i più qualificati operatori italiani, più legati ai bacini locali, ai quali si potrebbe forse proporre qualche forma di cofinanziamento, tale da rendere meno critica la durata della stagione.

Il parco di La Maddalena. Anche se questo tema richiederebbe uno studio a sé, sembra evidente che l’introduzione di un regime di fruizione troppo vincolante su un’area tanto estesa, che per di più rappresenta la principale porta di ingresso della Sardegna per il diporto, rischia di avere conseguenze estremamente penalizzanti per lo sviluppo del settore nautico in tutta la Sardegna.

Si deve purtroppo rilevare che, in perfetta analogia con quanto è successo nel caso della riserva marina di Portofino, l’istituzione del parco della Maddalena rischia di tradursi soltanto nell’introduzione di una serie di proibizioni riguardanti il diporto, abbinate a discutibili provvedimenti che riservano ai residenti del Comune della Maddalena le principali attività economiche permesse nell’ambito del parco, come la pesca o il noleggio di natanti.

L’impressione che si ricava dalle anticipazioni che si sono avute a riguardo del futuro regolamento del parco, è che esso sia visto in sede locale come un semplice strumento per garantire ai residenti un quasi monopolio sulle attività turistiche nell’arcipelago, senza alcuna preoccupazione per quanto riguarda l’equilibrio ecologico dell’arcipelago.

 I sintomi di questa visione distorta sono molteplici: basti pensare che come zona a protezione totale è stata scelta quella attorno all’isola di Mortorio, senza alcuna giustificazione scientifica, ma solo perché si tratta di una zona su cui gravitano prevalentemente i turisti della Costa Smeralda.

Un ulteriore segnale di allarme a riguardo del modo di intendere il parco, viene dalla dichiarata volontà del Comune di La Maddalena di perseguire la realizzazione di un grande porto turistico, di cui non si vede il senso se la navigazione nell’arcipelago deve essere rigidamente limitata per evitare un eccessivo carico antropico sulle aree protette. È legittimo il sospetto che si vogliano introdurre arbitrarie facilitazioni per la fruizione del parco, ai diportisti che scelgano il futuro porto turistico come sede per le loro imbarcazioni; basti pensare alla scandalosa ipotesi (ventilata anche in occasione di dibattiti pubblici) di utilizzare la regolamentazione del trasporto pubblico nell’arcipelago per obbligare i barconi di base a Palau o ad Arzachena a fare comunque scalo alla Maddalena durante le visite alle spiagge del parco.

A questo riguardo non si può non segnalare che le prospettive del settore charter rischiano di essere seriamente compromesse dalla normativa attualmente in gestazione, che riserva ai residenti il 75% delle attività di noleggio nautico. Evidentemente nel pensiero dei redattori di tale normativa, si è pensato che il noleggio riguardi soltanto i natanti affittati giornalmente nell’ambito dell’arcipelago per uso balneare, dimenticando le imbarcazioni più importanti normalmente gestite da operatori nazionali o internazionali che rappresentano la parte più significativa del settore. Si tratta di un problema delicato, dato che l’inibizione della navigazione nel tratto più bello delle coste sarde rischia di compromettere ogni possibilità di sviluppo del charter in Sardegna.

 

Le linee di un sistema regionale dei porti turistici

Veduta aerea di Porto Corallo, sulla costa orientale dell'isola
Veduta aerea di Porto Corallo, sulla costa orientale
dell'isola
Sembra poco contestabile il proporre come obiettivo centrale di un piano regionale per la portualità turistica, l’acquisizione di una clientela stabile di origine continentale e l’allungamento della stagione per quanto riguarda l’attività di transito. Occorre insistere sul concetto che più di un piano, appare necessario un programma operativo di intervento, che definisca non solo le proposte infrastrutturali, ma anche gli aspetti organizzativi e gestionali, nonché le possibili fasi di realizzazione con i relativi tempi di completamento.

È in ogni caso raccomandabile che il sistema regionale sia avviato al più presto, anche se in forma incompleta, aggregando il gruppo di porti già disponibili o completabili a tempi brevi, anche se non perfettamente organico. Un esame delle infrastrutture che sarebbero disponibili conferma la possibilità di presentare al mercato un sistema già significativo, nonostante i suoi limiti.

Disponibilità di infrastrutture e interventi prioritari. È ormai ben nota la non organicità degli interventi regionali completati fino ad oggi, ma si deve prendere atto delle molteplici ragioni di opportunità che consigliano di accelerare al massimo l’avvio di un sistema regionale utilizzando i porti disponibili alla data, indipendentemente dalle discontinuità ancora presenti nella copertura delle coste.

Un esame dei porti che potrebbero inserirsi a tempi immediati nel nuovo sistema conferma che si tratterebbe di un insieme già cospicuo, meritevole di una struttura gestionale capace di valorizzarne al massimo le potenzialità.

I limiti di un complesso così costituito sono evidenti, specie per taluni porti entro i quali si potrebbero solo attivare dei punti di appoggio stagionali dotati solo di servizi molto limitati. Inoltre alcuni dei porti inseribili nel sistema sono già stati affidati in gestione a operatori privati: è però evidente che anche ipotizzando qualche ulteriore esclusione, la dimensione complessiva sarebbe ancora sufficiente per l’avvio della fase sperimentale di gestione del sistema regionale.

Per arrivare a una configurazione più organica, anche se ancora parziale, occorrerà che si risolvano alcuni problemi di ordine infrastrutturale, risolvibili soltanto nell’arco di alcuni anni:

– il raccordo tra la parte settentrionale e quella meridionale dell’isola, almeno sul lato di levante, dove oggi Cala Gonone non è praticamente utilizzabile come porto di scalo e dove rimane una cesura importante tra Siniscola e Santa Maria Navarrese;

– la realizzazione a Cagliari di un grande porto turistico completo di tutti i servizi, secondo le indicazioni del nuovo piano regolatore portuale attualmente in fase di definizione. Questo dovrebbe diventare il fulcro di tutta la parte meridionale del sistema, più lontana dai porti continentali e quindi più bisognosa di una sua attività autonoma.

Con questi interventi la copertura della costa sarebbe assicurata, almeno sui versanti settentrionale, orientale e meridionale, anche se rimarrebbe la necessità di apprestare una capacità specificamente destinata all’utenza continentale in corrispondenza degli aeroporti del nord, a Olbia e ad Alghero.

Per quanto riguarda il completamento del periplo attraverso la costa occidentale, un nodo di difficile soluzione è costituito da Bosa, dove una sistemazione del porto fluviale appare tecnicamente difficile e soprattutto molto onerosa.

Si dovrà inoltre trovare una soluzione gestionale soddisfacente per quei porti poco suscettibili nel medio termine di poter trovare una consistente clientela stabile, come Teulada o Buggerru, dove si può ipotizzare una sistemazione del bacino e un’impiantistica specificamente pensate per un uso stagionale.

Il nuovo porticciolo turistico di Santa Teresa di Gallura
Il nuovo porto turistico di Santa Teresa di Gallura
Un problema politicamente delicato emergerà infine per i porti pubblici del nord-est per i quali sono ipotizzati significativi interventi, come Palau, La Maddalena, Cannigione e San Teodoro. Ci si deve infatti interrogare sull’urgenza o addirittura sull’opportunità di investimenti pubblici a fondo perduto in una zona dove la capacità ricettiva dei porti privati assicura già una copertura perfettamente adeguata, e dove la concentrazione di imbarcazioni in piena stagione arriva già oggi a livelli poco compatibili con la fruizione diportistica della zona e con la costituzione del parco nazionale di La Mad­dalena.

Non si intende in questa sede arrivare a un elenco esaustivo dei lavori da mettere in programma per i prossimi anni, in quanto tutto dipenderà dalla disponibilità dei fondi a disposizione. Appare comunque evidente che gli eventuali limiti dovuti alle disponibilità del bilancio regionale non rappresentano una ragione per rinviare la ricerca di un assetto gestionale soddisfacente per l’insieme dei porti che si stanno rendendo disponibili.

Configurazione del sistema gestionale. Dovrebbe ormai essere chiaro che il problema centrale da risolvere per garantire lo sviluppo dei porti turistici regionali, è quello di assicurare loro un’adeguata promozione commerciale. Questo fa ritenere indispensabile l’aggregazione dei singoli progetti portuali nell’ambito di un’unica organizzazione, dotata dei mezzi necessari a garantire il decollo dell’intero sistema. Quanto alla forma di aggregazione da utilizzare, sembra da escludere una semplice forma di associazione tra i diversi porti, del tipo adottato ad esempio dall’Associazione approdi turistici dell’Adriatico, che presuppone l’esistenza di un gruppo di strutture già operanti che debbano risolvere principalmente il problema della concorrenza reciproca.

Nel corso dei lavori preliminari si è fatto spesso riferimento al caso dell’Adriatic Club Yugoslavia, visto come esempio innovativo meritevole di essere in qualche modo imitato nella definizione del futuro sistema regionale sardo. Non si può certo pensare a una struttura gestionale centralizzata di tipo jugoslavo, incompatibile con il quadro di riferimento entro il quale si deve operare; sembra comunque necessario che i diversi porti si presentino all’utenza continentale sotto un’immagine unitaria, con un marchio di qualità che garantisca il livello e il prezzo dei servizi e con i mezzi necessari ad attuare una campagna promozionale su scala internazionale.

Porto Ottiolu, nella cots nord orientale, fra i comuni di Budoni e San Teodoro
Porto Ottiolu, nella costa nord orientale, fra Budoni
e San Teodoro
Il contrasto tra l’esigenza del decentramento gestionale e quella di una politica commerciale unitaria sembra sanabile con il ricorso allo strumento del franchising, utilizzato ad esempio da Benetton su scala mondiale. Sarebbe infatti sufficiente creare, su iniziativa regionale, una struttura pilota che si dia carico della promozione commerciale e dei rapporti con la clientela internazionale, della definizione delle specifiche tecniche da adottare nei nuovi porti, dello studio del sistema tariffario, della formazione del personale specialistico e dei rapporti con gli operatori privati del settore. La struttura centrale di sistema non dovrebbe invece entrare nel merito della gestione dei singoli porti, da lasciare alle decisioni locali. Infatti dal punto di vista della funzionalità del sistema appare del tutto indifferente che un porto sia gestito da una cooperativa, da una società mista partecipata dagli enti locali o addirittura da un operatore privato: è solo essenziale che la qualità della gestione sia compatibile con gli standard del sistema. 

                                                                      °°°°

 La situazione della portualità turistica della Sardegna di iniziativa regionale non è molto cambiata dall’epoca della pubblicazione dell’articolo del 1995. In diversi porti i lavori hanno avuto un ulteriore sviluppo, portando alla pratica ultimazione di alcuni di essi; tuttavia dal punto di vista di una reale valorizzazione degli investimenti della Regione non si può dire che siano stati compiuti dei significativi passi avanti.

Eppure le ragioni per affrontare con urgenza e con mezzi appropriati il tema della portualità turistica non mancherebbero davvero, se si pensa allo stato in cui versa l’economia sarda e alla difficoltà di identificare iniziative che siano in grado di creare nuove occasioni di lavoro nell’isola.

Inoltre l’avvio dei nuovi parchi marini, e di quello della Maddalena in particolare, renderebbe urgente un serio esame di come si possano rendere compatibili la salvaguardia ambientale e il turismo nautico.

Durante lo scorso anno era sembrato che la tesi della centralità del problema promozionale e commerciale, potesse avere un avallo ufficiale e un seguito operativo. Infatti il gruppo di lavoro interassessoriale incaricato di definire le linee di un nuovo piano di sviluppo per la portualità turistica sarda, aveva concordato sull’opportunità di costituire al più presto un’Agenzia regionale, che si configurasse come quella “struttura permanente, dotata di ampi margini di discrezionalità, destinata a pilotare lo sviluppo del sistema dei porti turistici in un’ottica efficientistica, svincolata dai tradizionali interessi localistici”, che era stata auspicata nell’articolo del 1995.

A fine 1998 era sembrato che potesse prendere forma l’Agenzia regionale per i porti turistici, nella forma di una società per azioni partecipata dalla Regione, da Sfirs e da Insud, destinata a avviare un processo di promozione e di integrazione dei porti regionali basato appunto su quel meccanismo di franchising che rappresentava forse lo spunto più interessante del documento del 1995. La costituzione dell’Agenzia era arrivata all’approvazione del Consiglio regionale e l’iniziativa era apparsa del massimo interesse sia agli amministratori dei comuni litoranei, sia ai responsabili dei porti privati dell’isola, che nel corso di due riunioni di presentazione dell’iniziativa stessa avevano dichiarato tutta la loro disponibilità a collaborare. Purtroppo però le vicissitudini della politica regionale all’inizio di quest’anno hanno impedito che il progetto dell’Agenzia venisse realizzato, ufficialmente per ragioni di difficoltà di bilancio.

Naturalmente non si può affermare che la costituzione dell’Agenzia avrebbe risolto tutti i problemi del settore nautico, ma è veramente poco comprensibile che la Regione, dopo aver investito centinaia di miliardi in opere che sono rimaste in buona parte inutilizzate, non sia riuscita a trovare, nelle pieghe del bilancio 1999, i fondi necessari alla costituzione della società, che erano stati stimati approssimativamente in un miliardo e mezzo.

A questo punto ci si può augurare che la nuova Regione abbia rapidamente un ripensamento, in modo da dare attuazione a un progetto che era sembrato soddisfacente a tutti gli interessati; l’importanza di avviare una politica commerciale comune di alto profilo per i porti sardi è però tale da far raccomandare la ricerca di soluzioni alternative che permettano di attuarla anche nell’impossibilità di arrivare alla costituzione dell’Agenzia regionale.

Le formule possono essere diverse, da una semplice associazione tra i porti simile a quella dei porti adriatici, a un consorzio appoggiato dalla Finanziaria regionale, già presente peraltro tra i partner della proposta Agenzia. La raccomandazione che si può fare, a chiusura di queste note, è quella di avviare comunque e al più presto una “fase costituente” tra tutti i soggetti interessati, operatori del settore e amministrazioni comunali, che permetta di identificare una forma alternativa per la struttura promozionale e commerciale comune, indispensabile per lo sviluppo della portualità turistica dell’isola.